venerdì 24 dicembre 2010

Quel Natale del '44


Con questa bellissima lettera scritta dal partigiano Vladimiro Diodati, "Paolo", e dedicata alla figlia Milena, auguriamo a tutti voi delle felici festività nel segno di un pensiero diverso e libero... insomma nel segno de "L' Altro Pensiero"!



In questa notte di Natale voglio scriverti questa lettera, figlia mia, perché avverto il peso del tempo, e sento che i miei giorni volgono ormai al tramonto.

Sono trascorsi sessant’anni dalla fine della guerra e tante cose ho serbato nel cuore. Ma in questa notte sento il desiderio di offrirti que­sta semplice testimonianza. Te la dono con il mio affetto, con tutto il mio bene, affinché sappia che tuo padre ha vissuto la sua vita con la coerenza degli ideali.

In quel periodo accadde tutto così in fretta, figlia mia. Allora c’era poco tempo per pensare... le scelte si facevano sulla nostra pelle. A volte bastava un attimo: stare di qua o di là della barricata poteva essere anche una questione di emozioni: la libertà oppure l’onore? Il desiderio di un’Italia migliore o l’orgoglio di non venir meno a una pa­rola data? Questo, sia chiaro, per chi le scelte le operò in buona fede. Gli altri, non so… Non c’era tempo, allora, per approfondire…

Sicuramente ci saranno stati errori anche dalla nostra parte. Forse degli eccessi… Ma noi sognavamo la libertà, non dimenticarlo, figlia mia… Altri stavano dalla parte della dittatura, del terrore, della morte.

Io scelsi di stare dalla parte della vita...

C’è un episodio, però, che oggi voglio consegnare ai posteri. Una storia che, sino ad ora, è appartenuta alla sfera del mio privato, delle mie emozioni, di quei profondi sentimenti che hanno albergato nel mio cuore. Non l’ho mai raccontata prima; ma, a sessant’anni dalla fine della guerra, voglio fissarla sulla carta per te, affinché possa ri­cordarti del tuo papà…


Accadde nell’autunno-inverno del 1944.

Dal settembre 1943 avevo scelto la via dei monti, quella della li­bertà.

Nella valle in cui operavo iniziava il primo freddo di quel secondo autunno di lotta. Era la fine di ottobre e, dopo lungo girovagare, una sera, verso le 10, arrivammo nel paesino di…, che già allora era chia­mata la “piccola Svizzera della Liguria”.

Eravamo una decina in tutto: tre o quattro del Comando, con sei o sette partigiani sfiniti dalla stanchezza e dalla paura.

Il grosso della nostra Brigata era rimasto nell’altra vallata, quella a ridosso del Piacentino. Ci avrebbero raggiunti la mattina seguente, in prossimità del Passo.

Bussammo a una Colonia che ci avevano segnalato: una bellissima costruzione moderna che si affaccia in alto, a sinistra del paese, tutta luccicante per le vetrate che ne fasciano l’intera perimetria.

Mi avevano informato ch’era abitata da alcune suore con molti bambini.

Nel buio pesto ci aprì una sorella. Madre Ignazia, questo il suo nome, sussultò sbigottita di fronte alla luce fioca di una lampada che lasciava trasparire i nostri volti. Uomini stanchi, con fazzoletti rossi al collo, con le barbe e i capelli lunghi, i caricatori sul petto, le bombe alla cintura e le armi a tracolla non avrebbero offerto tranquillità ad alcuno, in quel periodo...

Ci presentammo a nome del CLN: “Abbiamo bisogno di far ripo­sare i nostri uomini. Siamo stanchi, sfiniti...”.

Dapprima Madre Ignazia cercò di dissuaderci: “Siamo completi, ci dispiace, non un solo letto è libero. Non possiamo proprio ospitarvi”.

Poi, impietosita, ci fece accomodare.

La suora aveva una cinquantina d’anni suonati, un bel volto largo, aperto, simpatico, incorniciato da un velo bianco inamidato che glielo ricopriva sino alle gote. Ed una voce chiara, musicale.

Mi presentò alle altre suore, una ventina, in buona parte giovani che, spaventate, erano scese una ad una dalle loro camere. Appartenevano all’Ordine di Santa Marta ed erano sfollate dal loro convento con duecento bambini in tenera età, abbandonati dalle au­torità fasciste al loro destino.

Il quadro che mi si presentò, man mano che osservavo, era pietoso e desolante. La Colonia era gelida, le suore avevano freddo e sicura­mente i bambini, già a dormire nei loro lettini, saranno stati più inti­rizziti che mai.

“Non abbiamo di che riscaldare l’edificio”, mi disse la Madre. Poi proseguì narrandomi di come erano state costrette a girare le frazioni della Valle per elemosinare un po’ di pane per aggiungerlo alle poche scorte alimentari che avevano per sfamare i bambini e loro stesse.

Alla fine trovammo riparo, per quella sera, negli scantinati, con qualche materasso recuperato alla bell’e meglio in soffitta.

L’indomani mattina, mi recai nell’ampio refettorio e constatai che le razioni di cibo erano alquanto misere.

“Quando le autorità ci condussero qui - mi raccontò Madre Ignazia - ci avevano promesso che non avremmo dovuto preoccuparci di nulla. Avrebbero pensato loro a non farci mancare niente. Questa è una colonia estiva per i figli dei lavoratori di una grande azienda e vi doveva essere tutta l’attrezzatura per il suo buon funzionamento. Invece non abbiamo trovato neppure le pentole e le posate. Ora ec­coci qui, con duecento figlioli di povera gente, alcuni senza genitori, a cui pensare, da sfamare e da vestire”.

Me ne andai con il cuore stretto, pensando a come poter interve­nire in quella pietosa situazione.

Intanto la nostra Brigata, attraversata la catena che divide il paese dal Piacentino, si ricongiunse a noi.

I nostri uomini avevano catturato due camion tedeschi lungo la Via Emilia, liberando gli autisti, trattenendo i mezzi e le scorte, soprat­tutto scatolame di salsa di pomodoro, oltre a quattro-cinque quintali di marmellata.

La visione di quei bambini affamati non ammetteva esitazioni. La decisione fu istantanea e non trovò alcuna resistenza. Tutti i riforni­menti furono trasportati con un carro alla colonia, mentre le suore, meravigliate, ringraziarono la “Provvidenza”.

Fra me e Madre Ignazia si instaurò così un rapporto di simpatia e fiducia.

Il giorno seguente convocai i paesani, con i muli e le slitte. Avevo notato, in un certo punto della strada che dal paese scende verso la vallata, un deposito di alcune tonnellate di legna da ardere, pronta per essere trasportata e venduta nelle città della costa. Indicai il da farsi e, per tutta la giornata, fu un via vai di slitte trainate da muli, stracariche di quella legna, che si trasferirono alla colonia.

Le suore accesero le stufe e tutto, all’interno, si riscaldò. Come per incanto, i bimbi sentirono il tepore e giocarono felici. Per loro era ini­ziata una nuova vita.

Nei giorni successivi, anche i montanari, seguendo il nostro esem­pio, fecero a gara per rendersi utili.

Si mobilitarono ancora, con i loro muli, in una cinquantina, supe­rando fatiche e difficoltà, valicando il passo e raggiungendo, accom­pagnati da una nostra staffetta, la colonia, stanchi ma felici, con 50 quintali di farina di grano.

Madre Ignazia mi confidò le prime impressioni ricevute allor­quando ci accolse la prima volta. Con quei fazzoletti rossi al collo e quelle barbe lunghe cosa poteva pensare di noi? Eravamo quelli della guerra di Spagna, quelli che bruciavano le Chiese e violentavano le re­ligiose. Questo, almeno, scriveva la stampa fascista. Questo avevano raccontato di noi.

Ora si trovava davanti degli uomini, soprattutto giovani, che si erano accorti di loro. In mezzo alla guerra che infuriava, col nemico alle calcagna e fra un rastrellamento e un’azione di guerriglia, per set­timane ci preoccupammo di far rivivere quella Comunità abbando­nata negli stenti.

Un giorno, via radio, ricevemmo l’ordine di predisporre l’arrivo di alcuni lanci di aerei, comunicandoci le coordinate del luogo prescelto.

La vigilia della data stabilita ascoltammo da radio Londra il mes­saggio in codice: “Paolo e Francesca”, che preannunciava l’arrivo. Il prato riservato al lancio era in una conca non lontana dalla colonia.

All’ora fissata arrivarono gli aerei. Fecero alcune evoluzioni at­torno alla zona; quindi, riconosciuto il segnale convenuto disegnato sul prato, iniziarono a passare e ripassare a bassa quota seminando nel cielo tanti piccoli puntini, variopinti ombrelloni che scesero don­dolando dolcemente.

A quel punto, dalla terrazza della colonia, si levò un allegro cin­guettio di voci: erano i bimbi e le suore radunatisi per salutare la pioggia dal cielo, quasi fosse una festa.

Raccolto il materiale, feci caricare i paracadute di seta, una ses­santina, e li inviai alla colonia. Le suore, con tutto quel ben di Dio, cominciarono pazientemente a scucire le tele, recuperando persino il filo con cui erano composte le corde.

Una sera, una staffetta del Comando di Zona giunse in paese con un messaggio di poche righe, col quale mi si informava che era ini­ziato un rastrellamento di grandi proporzioni nella valle del Piacentino e che un centinaio di partigiani feriti, dell’ospedale di zona, doveva essere evacuato. Sarebbero arrivati con ogni mezzo: a dorso di mulo, con le slitte, a piedi, durante la notte. La nostra Brigata avrebbe provveduto a riceverli.

Che fare? Sembrava impossibile trovare una soluzione così su due piedi. Alla fine pensai di fare un tentativo.

Mi diressi alla colonia, in quella gelida serata. Bussai alla porta e, alla Madre che mi venne ad aprire, porsi il biglietto ricevuto poco prima: “Legga”, le dissi, attendendo in silenzio come se avessi posto una domanda.

“Faremo così. - rispose subito la Madre - Ci sono duecento letti; metteremo due bimbi per ogni letto: uno alla testa e uno ai piedi. In tal modo avremo cento letti per i partigiani feriti che arriveranno sta­notte”.

L’avrei abbracciata.

Fu così la colonia diventò anche un ospedale partigiano.

Per tutta la notte ci furono arrivi di feriti, alcuni mutilati, intirizziti dal freddo, stremati dal lungo, estenuante viaggio.

Man mano che giungevano, venivano accolti dalle suore, dissetati e sistemati nei letti messi a disposizione. Le Sorelle divennero tutte in­fermiere che provvidero ad ogni cosa, dalla cucina alle cure mediche.

Arrivarono le feste di Natale e Madre Ignazia mi pose, con tatto e cautela, il problema della Comunione per i partigiani ammalati.

“Non si preoccupi, Madre - le dissi. - Interroghi ogni partigiano ed esaudisca ogni singolo desiderio. Vedrà che troverà giovani deside­rosi di essere comunicati”.

Quindi venne il mio turno.

“Sorella - risposi - potrei benissimo comunicarmi. Per me non si­gnificherebbe niente e Lei sarebbe felice. Ma non posso carpire così la sua buona fede”.

Madre Ignazia non si scompose, ma cominciò a pregare: “Ave Maria, gratia plena...”.

Fu allora che, commosso e quasi trascinato da una forza miste­riosa, cominciai a ripetere la preghiera che mia madre mi insegnò quand’ero fanciullo: “Ave Maria, gratia plena, Dòminus tècum...”.

La vigilia di Natale una staffetta ci informò dal Comando che il giorno dopo avremmo dovuto lasciare il paese, perché tedeschi e fa­scisti stavano organizzando un rastrellamento di vaste proporzioni.

Durante la messa di mezzanotte, molti partigiani parteciparono alla funzione religiosa e si comunicarono.

La mattina di Natale salutammo le suore con grande commozione e Madre Ignazia ci benedisse.

Ma prima della nostra partenza, trovammo nel refettorio duecento figlioli tutti vestiti con fiammanti grembiulini: rossi, bianchi e celesti. Erano le stoffe dei paracaduti.

Le sorprese, però, non erano finite. Madre Ignazia ci consegnò uno scatolone con dentro decine e decine di fazzoletti rossi, di quella stoffa setificata da addobbi religiosi. Sulle due punte dei triangoli, ri­camate in seta, due stelle a cinque punte con il tricolore d’Italia.

Piansi di gioia… Poi ci separammo.

Ecco, figlia mia, perché ho voluto raccontarti questo episodio.

Quel fazzoletto, che ho sempre conservato da allora e che tu ben conosci, fu confezionato dalle Suore di Santa Marta che avevano la­vorato in segreto per chissà quanto tempo!

Quando entrai a Genova liberata, io e tutti gli uomini della mia Brigata portammo al collo un fiammante fazzoletto rosso: quello con la stella a cinque punte e il tricolore ricamati.

Ancora oggi, in questa notte di Natale, mentre lo osservo appeso al muro della mia stanza, mi commuovo al ricordo.

Vedi, figlia mia, in tutti questi anni non sono riuscito a ritrovare la Fede, ma ogni volta che guardo il fazzoletto, il mio pensiero corre a quel Natale del ‘44. E, ogni volta, quasi trascinato da una forza mi­steriosa, torno a ripetere la preghiera che mi insegnò mia madre: “Ave Maria, gratia plena. Dòminus tècum. Benedicta tu in mulièribus et be­nedictus fructus ventris tui, Jesus...”.

Ritrovo così la mia giovinezza e i miei sogni, mentre rivivo le spe­ranze di quei giorni.

domenica 5 dicembre 2010

WikiLeaks, dalle falle informatiche alle falle sociali



Se si riuscisse a leggere ciò che si sono scritti i diplomatici americani dopo la pubblicazione dei files trafugati da parte di WikiLeaks, probabilmente si leggerebbero frasi del tipo: [Mi scuso per il linguaggio] "Ma porca miseria! Questi ci stanno facendo fare una figura di merda planetaria, dovete inventarvi qualcosa per incastrarli!" "Eh lo so ma cosa?" "E che cazzo ne so! Quel tipo... Assange, avrà dei precedenti!". Ecco, certo fa sorridere ma non penso sia poi così distante dalla realtà.
Per ora il precedente che rende Assange l'uomo più ricercato d'Europa è una presunta violenza sessuale in Svezia che analizzata un po' meglio si riduce ad aver (cito il Messaggero del 3 dicembre 2010. link) "fatto sesso non protetto con due donne consenzienti", cosa che costituisce reato nel paese scandinavo.
Il fatto che questa accusa sia solo un pretesto usato per dare la caccia ad Assange penso sia palese a tutti, se non per altro perché ogni giorno ci sono un numero abnorme di stupri e violenze di ogni genere che non vengono quasi nemmeno presi in considerazione, ma questo tradisce anche una goffaggine e una penosità d'intervento da parte degli Stati Uniti che, chiaramente, vogliono far tacere al più presto il sito.
Immancabile, poi, la tristissima immagine regalata dall'Italia anche in quest'ultima occasione, nella quale invece che chiedere spiegazioni su quanto emerso dalla pubblicazioni segrete nelle quali vengono insultati e sminuiti i vertici del governo, come una muta di cani fedeli al padrone, i vari Berlusconi, Frattini ecc.. corrono a precisare che ciò che è stato fatto da WikiLeaks è un "orrore mediatico" o "l'11 settembre dell'informazione" facendo fare così al Paese una doppia misera figura.

Per fortuna, però, mentre si crea una campagna mediatica contro Assange, da WikiLeaks arriva l' annuncio che presto verranno pubblicati files "scottanti" sul Vaticano e su un'importante banca americana.
Perché alcuni sono contro WikiLeaks? Perché la verità è il boccone più amaro da mandar giù ma anche la parola più difficile da leggere. Assange e i suoi, come quando erano giovani hacker, mettevano a nudo le debolezze dei sistemi informatici, ora mettono a nudo le debolezze del sistema sociale, politico e giuridico nei quali viviamo. Penso che l'evento a cui stiamo assistendo sia una delle migliori cose successe negli ultimi decenni all'Umanità, penso inoltre che l'unico "provvedimento" da prendere nei confronti di Julian Assange e WikiLeaks sia l'assegnazione del premio Pulitzer e forse qualcosina di più dato che con la loro iniziativa stanno dimostrando al mondo uno dei più alti e ahimé isolati casi di vero giornalismo.
Concludo citando a conferma di quanto sostengo e a denuncia delle frasi di condanna, scherno e distanza usate dai giornali e dalle Tv nei confronti del sito e del suo creatore, uno stralcio del nuovo giuramento di Ippocrate per la categoria dei giornalisti italiani, questa parte è riferita ai giornalisti che rischiano la vita nel pubblicare determinate notizie riguardanti la Mafia e la Camorra, anche questo dovrebbe far riflettere su quanto sta accadendo ad Assange in queste ore:

"Nessuna notizia può restare inedita, il cronista che corre rischi per osservare questa regola deve avere il sostegno aperto, corale, convinto, senza distinguo degli altri giornalisti"


Fabrizio Ruffini

martedì 30 novembre 2010

307 sì 252 no, la Camera approva l'ignoranza


Un giorno qualcuno studiando la storia del nostro paese per capirne la fine riscoprirà il 30 novembre 2010 e la riforma dell'università approvata dalla Camera e allora collegherà quell'evento alla progressiva diminuzione di iscritti all'università pubblica e il maggior tasso d'ignoranza registrata nei decenni a venire.

Ma, come si dice, non tutti i mali vengono per nuocere. Per un momento oggi ho pensato a quanta gente fosse scesa in piazza in tutta Italia, giovani e giovanissimi di tutti gli atenei nazionali che per una volta dopo tanto tempo scendevano a manifestare per I PROPRI DIRITTI. Un riavvicinamento attivo alla politica, un bisogno interiore di gridare, esprimersi e protestare per provare a cambiare qualcosa. Sembra banale, ma era una vita che la gente non scendeva convinta in strada per dire la sua!
Qualcuno potrebbe dire che ogni riforma si porta dietro uno strascico di proteste cortei ecc.. ma a ben pensarci al massimo ci si trovava tutti a Roma per avere un numero decente di persone per poter sfondare l'indifferenza mediatica di Tv e giornali. Questa volta, partendo da ottobre ma soprattutto per quanto riguarda la giornata odierna, tutta Italia si è fatta vedere, in ogni città è successo qualcosa che la stampa ha dovuto gioco forza riportare, dovunque è stato espresso il dissenso verso questo governo e questa riforma. Perciò, ripeto, non facciamo una tragedia per questa sconfitta, abbiamo dimostrato moltissimo oggi, non servirà più guardare a Francia e Inghilterra per vedere degli studenti in piazza che si muovono, che occupano e che si danno una mossa perché preoccupati per il proprio futuro; perché oggi anche TUTTA L'ITALIA SI E' MOSSA!

Fabrizio Ruffini




lunedì 8 novembre 2010

Sbatti il mostro in prima pagina


L'articolo che vi proponiamo si riferisce a fatti accaduti più di un anno fa, ma i concetti e le analisi fatte dall'autore, il sociologo Vincenzo Romania, sono più che validi anche oggi per capire come la stampa troppe volte assecondi gli umori popolari e ne alimenti l'intolleranza verso determinate categorie "pre schedate".

Proviamo a ricostruire con meno interpretazioni possibili - per quanto le poche info a disposizione consentano - cos’è successo alla Caffarella, a Roma.

1. il giorno di San Valentino, una ragazza di 16 anni subisce stupro, in presenza del ragazzo anche lui aggredito.

2. il 18 febbraio vengono arrestati due romeni Loyos e Racz, che materialmente e mediaticamente si sottopone a tentato linciaggio.

3. Come avviene l’indagine. Secondo quanto riferisce il questore: lo stupro è avvenuto nel parco, quindi prendiamo tutte le foto di criminali che frequentano i parchi e mostriamole per riconoscimento alle vittime. La ragazza riferisce di essere stata stuprata da due stranieri che parlavano entrambi italiano. Disegna un identikit di due uomini: “dai capelli lunghi e con il naso schiacciato”. Poi la ragazza riconosce Loyos sulle foto che le mostrano, ma Loyos, in effetti, non ha mai avuto nè i capelli lunghi e nè il naso schiacciato (per un caso, la polizia stessa lo aveva ripreso in un video nel suo campo pochi giorni prima dello stupro, con i capelli corti).Sulla Stampa il questore romano Caruso spiega ai giornalisti che ai ragazzi vengono mostrate 700 foto. Oggi sul Corriere si apprende che gli avevano mostrato 12 foto e tutte di romeni.

4. Una volta arrestato Loyos si autoaccusa e indica come suo complice Racz il quale però - è dimostrato - non parla una parola di italiano. Entrambi - per quanto possa valere - possono produrre anche testimoni oculari che dimostrino che quel giorno non erano là.5. Gli identikit non corrispondono, la ragazza si dice non più sicura della identificazione - tanto che in prima battuta, al posto di Racz aveva indicato la foto di una terza persona - ed oggi si apprende che il DNA non corrisponde.5. Oggi Loyos dichiara che era stato costretto dai poliziotti ad ammettere la sua colpevolezza, ma - come risulta dal DNA - in effetti non era la verità.6. Si ipotizza che per questa auto-accusa nessun poliziotto venga processato ma Loyos venga accusato, paradossalmente, di auto-calunnia.

Come saranno andate le cose?

Visti i toni trionfalistici e gli animi surriscaldati nell’opinione pubblica di quel periodo è possibile che:

a) La questura abbia percepito una pressione ambientale a dare subito un colpevole ai mass media: sbatti il mostro in prima pagina, aumenta l’insicurezza percepita, instilla una domanda pubblica di maggiore controllo, giustifica politiche di controllo e di repressione anche in periodo di crisi economica

b) La polizia abbia allora agito nel modo più elementare: ha mostrato delle foto segnaletiche ai ragazzi - tutte e 12 di piccoli delinquetelli rom autori di furti nei parchi-

c) La figura del rom era quella più notiziabile come capro espiatorio nell’opinione pubblica e quindi andava benissimo e non poteva essere sostituita o messa in dubbio: per fare bella figura e supportare la costruzione sociale del mostro bisogna bisogna trovare un ‘accusato che abbia tratti lombrosiani e sbatterlo in prima pagina il prima possiibile (i mass media hanno i loro tempi) . Perciò chi ha indagato ha - evidentemente - chiuso un occhio sulle evidenti incongruenze del caso (nessuno dei due aveva i capelli lunghi e il naso schiacciato) e consegnato Loyos e Racz ai flash dei reporter.

d) Gli imputati - se sono vere le parole che riferiscono - sarebbero stati “invitati” a confessare, anche contra-veritas. Nulla toglie che siano dei pregiudicati, sicuramente non saranno dei santi, ma molto probabilmente non erano neanche i colpevoli giusti.

e) Data la notizia, fatto il colpevole: per tutta la stampa italiana se l’indagato è un rumeno è sicuramente colpevole.

f) I due vengono sottoposti a regime di carcerazione preventiva. Molti italiani - alcuni di recente - accusati di stupro, riescono altresì, grazie agli avvocati prezzolati che li rappresentano, a farsi assegnare i domiciliari (vedi a Roma il ragazzo che per caso era stato ripreso la notte di Capodanno dalle telecamere di Lucignolo in una discoteca prima di stuprare un’altra giovane ragazza).

g) Adesso il Pm sentirà le stesse pressioni ambientali di allora e - malgrado il test del DNA e le incongruenze - vuoi vedere che non scarcerca i due?

h) Se invece li scarcereranno, ecco che, probabilmente, un gruppetto di simpatici cittadini farà una spedizione punitiva notturna al campo Rom, che passerà del tutto inosservata, poiché ultimamente va di moda farsi giustizia da sé.

Qualche conclusione statistica. Non c’è dubbio che esista una fetta di romeni, troppo consistente, che è autrice di stupri. Il 61% degli stupri per violenza riguardano italiani, il 7,8 rumeni, secondo i dati diffusi dal Ministero dell’Interno. I rumeni, che rappresentano il 2% circa della popolazione attualmente residente in Italia, hanno quindi una incidenza di criminalità rispetto alle violenze sessuali 4 volte superiori agli italiani. E sono un problema per l’ordine pubblico, su questo non ci piove. Ma non sono gli unici autori o i maggiori autori di questo crimine abominevole.E poi resta un altro aspetto da sottolineare. Il 75% delle violenze sessuali avviene in casa, ad opera di persone conosciute e nell’89% dei casi - ahimè - non viene neanche denunciata (dati Istat 2007). Le denunce riguardano quegli stupri compiuti nel 24,3% da sconosciuti. Le indagini su questi crimini devono essere rafforzate in termini di organico di polizia e di magistratura e di attrezzature a loro disposizione. Ma c’è anche bisogno di una profonda discussione culturale sul perché donne come Rihanna di recente, abbassano lo sguardo e tornano dal carnefice.

(Articolo riportato con consenso verbale dell'autore dal sito: www.dominiopubblico.it)

Vincenzo Romania

lunedì 1 novembre 2010

Piove sempre sul bagnato



Pioggia, pioggia e ancora pioggia. Non parlo del clima di questi giorni, ma dell'ennesimo scandalo che vede coinvolto il nostro Premier. Scandalo? Perché chiamarlo così se tutti sappiamo che fra una settimana sarà solo (passatemi la continua metafora) acqua passata?
Se apriamo la prima pagina di un qualsiasi quotidiano nazionale, almeno una notizia su due è di grado sufficiente a creare uno scandalo politico e a mettere in crisi qualsiasi governo mondiale, eppure tutto tace. Tutti ne parlano al bar finché ne parlano anche i Tg e poi basta, silenzio, come non fosse mai accaduto. Qualcuno si ricorda della D'addario? O di un qualsiasi altro scandalo che ha visto come protagonista B.? No. Gli indici di gradimento scendono a picco durante lo scandalo per poi risalire pian piano fino all'ora del voto.
Ad ogni modo, questo è il fare degli italiani da una vita ormai, e non c'è poi da restarne allibiti più di tanto, ma una cosa è davvero vergognosa: vedere l'opposizione cavalcare sempre questi scandali da rivista da parrucchieri e non battere su fatti ben più gravi come, ad esempio, che il mandrillo sia INDAGATO a Firenze per i coinvolgimenti nelle stragi del '92! Questa è la vera schifezza, un governo che rischia di cadere per un pugno di puttane e non per dei fatti di una gravità inaudita, che metterebbero finalmente in chiaro che Forza Italia e il regno politico di B. sono effettivamente nati da collusioni con la mafia.
Smettiamola dunque di aggrapparci a episodi che, per quando disgustosi e degni di approfondimento giudiziale, rimangono marginali rispetto alla mole di accuse che si potrebbero muovere verso quell'uomo, e concentriamoci sul far sapere alla gente ciò che non sa, ossia farla ragionare sul mondo che la circonda e non tirarla in campo solo quando c'è da denunciare gli usi e costumi del regnante nel suo fantastico palazzo. La gente va informata, alla gente va fatto capire perché deve informarsi, penso che se il governò cadrà e si riuscirà ad averne uno che per lo meno parli di politica dovrà fare molto in questo senso, soprattutto quando ci si troverà a dover ricostruire tutto ciò che è stato depredato e distrutto dal vent'ennio berlusconi.

Fabrizio Ruffini

sabato 16 ottobre 2010

L'Italia delle cacce al mostro



Come qualcuno avrà notato, nella quotidiana selezione di articoli che facciamo sul nostro canale di Facebook non abbiamo pubblicato nemmeno un pezzo che si riferisse al fatto di cronaca che in questo periodo sta facendo vendere migliaia di copie extra ai quotidiani italiani. Avrete capito, immagino, che sto parlando del caso di Sarah Scazzi.
Penso che il fenomeno a cui assistiamo ogni qualvolta accadono di questi terribili episodi possa essere definito come: "Perbenismo viscerale insito nell'Italiano medio da Tg delle 20.00"; un po' come succede ogni domenica quando l'Italiano si trasforma in allenatore incitato dalla stampa sportiva e (soprattutto) dai cosiddetti "approfondimenti serali" che altro non sono che bar dello sport vestiti a festa nei quali lo spettatore può tifare l'uno o l'altro "esperto". Ecco, penso che la massa che si traveste da investigatore/giudice a tavola davanti alla Tv possa essere considerata la parte più deprimente di questo gioco delle mascherine.
Caso fenomenale è stato il caso di Cogne dove ancora oggi, a distanza di anni, tutti questi giuristi dell'ora di cena si armano di frasi di un favoloso qualunquismo per condannare la madre. Non allungo il tutto spiegando di che frasi parlo essendo sicuro che chi sta leggendo questo articolo si sia trovato più volte imbarazzato a tavola sentendole dire da parenti o amici.
Ciò che la gente non capisce è che questo tipo di informazione è ingigantita appositamente dai giornali per vedere più copie e da "altri" per nascondere notizie ben più gravi e importanti. Volete un esempio pratico?
Ecco le 10 notizie più lette di "Corriere.it" alle ore 15.56:




Cosa notate di strano? Già, il 16 ottobre, giornata della grande manifestazione nazionale di operai e studenti a Roma (seguita addirittura con una diretta video dal Corriere) non è nemmeno in classifica.
Colpa dei giornali quindi? "Ni", nel senso che dal canto loro devono vendere il più possibile, anche se è vero che cavalcano in modo indegno e per un tempo davvero troppo lungo tutti questi episodi, cosa che di solito spetta ai giornali che non godono propriamente di un prestigio enorme; ma è altrettanto vero che è la mentalità media italiana che, come sempre, andrebbe evoluta.
Altra cosa abbastanza triste è che l'avvento di Internet e della comunicazione multimediale pare non essere bastato per eliminare questo modo di affrontare la cronaca. Anzi. Se avete lo stomaco di farvi un giro su Youtube o altri portali dove si parla della notizia, vedrete che il perbenismo-qualunquista dei commenti non sarà minore rispetto a quello subito da sempre a tavola durante il telegiornale, ma anzi sarà amplificato da un consenso comune molto maggiore.
Per concludere, quindi, se in futuro vi chiederete perché alcune notizie non le passiamo vi sarete già risposti da soli, se ne notate la mancanza vuol dire che già la conoscete, e che il bombardamento mediatico ha già fatto effetto! Buona informazione a tutti!

Fabrizio Ruffini

venerdì 17 settembre 2010

Apre la sezione video!



Salve a tutti, come annunciato ieri sul nostro canale di Facesbook, apre ufficialmente la sezione video de "L'Altro Pensiero"!
Per accedervi non dovete far altro che cliccare sull'apposito tasto in alto o sul menù che trovate sulla destra.
Per il momento sono state caricate tutte le puntate che è stato possibile reperire del programma "Presa Diretta" di Riccardo Iacona (speriamo di trovare le puntate mancanti a breve, quindi controllate di tanto in tanto) e tutta la prima serie di "Report", il programma diretto e condotto da Milena Gabanelli dal 1997.
Chiaramente questo non è che l'inizio, quanto prima verranno caricate le altre serie COMPLETE di "Report" e magari di qualche altro programma.
Come sempre aspettiamo i vostri suggerimenti o le vostre richieste alla mail che trovate nella sezione "contatti".
Con questo progetto speriamo di far cosa gradita a chi, come noi, ama i programmi di buona informazione e magari a chi per una ragione o per l'altra ha perso una delle puntate in Tv e può quindi riguardarla sul sito.
Anche se suona quantomai scontato non ci resta che augurarvi BUONA VISIONE!

L'Altro Pensiero

sabato 14 agosto 2010

Burro contro il muro di fuoco?



Al momento, la situazione politica italiana ha del paradossale, non che sia mai stata particolarmente limpida e lineare, ma in questo periodo sta raggiungendo livelli di squallore inauditi. Da una parte abbiamo i "soliti noti" al governo che sventolano ai quattro venti le proprie malefatte passate e presenti per incolparsi l'un l'altro, e dall'altro abbiamo quello che si era innalzato a grande partito moderato di massa difensore del popolo che invece di sfruttare il momento di crisi del disgustoso avversario e regalare quindi ai cittadini un'immagine di pulizia e legalità (un'alternativa alla maggioranza, insomma) resta ferma, non parla, e se lo fa dice cose del tipo: "Noi dal canto nostro speriamo non cada il governo, perché alle elezioni perderemmo di nuovo".

Non so agli altri cittadini italiani, ma a me questo modo di fare opposizione non induce un gran senso di sicurezza. Prendiamo ad esempio il nostro elettore medio già nominato altre volte: il signor Rossi è un lavoratore, interessato alla politica quel tanto che basta a tutelare la propria vita e i propri interessi e non per forza deve avere conoscenze specifiche in campo politico-legale; al Tg delle 20.00 che guarda seduto a tavola con la famiglia sente parlare soltanto Berlusconi che attacca Fini e Fini che, per difendersi, attacca Berlusconi, qualche intervento di Di Pietro (che ai suoi occhi è probabilmente l'esaltato descritto per mesi da Berlusconi) e un paio di rocciose e retoriche uscite di Napolitano. Del Pd non v'è traccia o quasi.
Cosa potrà scaturire dalla psiche del nostro signor Rossi? Probabilmente il quadro generale della situazione sarà pressappoco questo: Berlusconi fa fatica a tenere insieme tutti i suoi alleati, Fini è quello contro Berlusconi e Napolitano fa da pacere. Il Pd è quell'altra accozzaglia di persone già viste, si ricorda di Veltroni perché aveva fatto tanta campagna mediatica ma adesso ci sono solo i suoi "vice" al comando, e poi non si sa cosa vogliono perché non si esprimono con decisione su niente, perciò sarà difficile che andando a votare si ricordi di loro.

Tempo fa avevo riso di una vignetta che girava per il web dove si vedeva Bersani accasciato su un ripiano del parlamento e la scritta: "No, no, no! Se cade il governo addio vacanze!" (Foto in alto); all'inizio la cosa mi aveva fatto ridere, ora, vista la veridicità di quella battuta, mi inquieta non poco. Ma la cosa che più di tutte mi fa dispiacere è che tantissimi giovani hanno visto nel Pd una valida alternativa e non sono pochi i circoli nati in tutta Italia destinati per lo più alla morte o al continuo immobilismo data la mancanza di una testa e di una linea precisa sopra di loro; non serve essere geni per capire che in molti non sono felici di vivere a "Berluscolandia" e sapere che le nuove generazioni ripongono le proprie speranze in mano a questi quattro perbenisti lavativi fa ribollire il sangue.

Fabrizio Ruffini

venerdì 9 luglio 2010

Sveglia Sig. Rossi!


Come tutti i giornali e telegiornali nazionali, assieme a molti altri gruppi d'informazione presenti sul web anche "L'Altro Pensiero" oggi non pubblicherà altro che questo breve comunicato.
In un paese che si definisce libero democratico e un sacco di altre cose che francamente appaiono sempre più come dei puri appellativi utopici, l'ennesimo allucinante decreto legge (che come forma accelerata d'introduzione di un provvedimento, ricordiamo, fu inventato per portare aiuto ai terremotati dell'Irpinia, e non quindi per varare ogni nuova legge interessi il "capo" di turno) che ancora una volta, ancora sotto gli occhi di tutti, e ancora accolto con una semplice alzatina di spalle dall'opinione pubblica, colpisce l'informazione e da poteri e privilegi sempre più assoluti ai governanti del paese.
La situazione è sempre più grottesca e irreale, ma a questo punto ci chiediamo: "E' possibile prendersela solo con chi fa queste cose (che ben sappiamo che tipo di persone siano), o è ora di considerare la posizione sempre più pecora e menefreghista del popolo italiano?
Speriamo che il Sig. Rossi arrivando come ogni mattina in edicola e non trovando la sua amata Gazzetta dello Sport si sforzi di chiedersi il perché.

L'Altro Pensiero

mercoledì 16 giugno 2010

Bloody Sunday, 38 anni dopo arriva la verità

Se si volesse fissare Bloody Sunday in due immagini, la prima sarebbe quella famosa di padre Edward Daly che soccorre una delle vittime sventolando un fazzoletto bianco. La seconda la gioia racchiusa nel pugno chiuso e nel sorriso di John Kelly, ieri, a Derry, dopo aver letto il rapporto conclusivo dell'inchiesta su quella domenica di sangue di 38 anni fa.
Lord Saville, titolare dell'indagine, ha messo la parola fine almeno sui fatti, ristabilendo sulla verità. Le 14 vittime uccise dai militari inglesi durante la manifestazione pacifica per i diritti civili organizzata a Derry il 30 gennaio 1972, non «rappresentavano alcuna minaccia per i militari britannici. Erano tutte disarmate». Il rapporto condanna fermamente «il comportamento dei militari britannici che aprirono il fuoco quella domenica».
Commentando in parlamento il documento, il premier conservatore David Cameron ha chiesto scusa alle vittime in nome dello stato per l'uccisione «ingiustificata e ingiustificabile» di civili innocenti. «Non c'è nulla di ambiguo, - ha detto Cameron - le conclusioni del rapporto sono chiare. Quello che è accaduto a Bloody Sunday è stato qualcosa di sbagliato. Il governo è responsabile della condotta delle forze armate. In nome del governo e del paese, sono profondamente dispiaciuto per ciò che è accaduto». Ci sono voluti 38 anni, ma alla fine la verità ha prevalso. Dodici anni, tanto è durata l'inchiesta Saville, che rende giustizia alle vittime di quella giornata e che una volta di più condanna la prima «Inchiesta Widgery», che subito dopo il massacro aveva assolto i soldati gettando infamia e menzogne sui civili, definiti come «terroristi dell'Ira armati».
Il rapporto di ieri dice l'ultima parola sulle tante domande che per 38 anni in tanti hanno cercato di evitare. Chi ha sparato il primo colpo? I parà, risponde Lord Saville. Qualcuno tra i civili era armato? Nessuno aveva armi, conclude l'inchiesta. I militari hanno mentito nelle loro testimonianze? Molte di esse sono state fabbricate e molti militari hanno deliberatamente mentito per giustificare le loro azioni.
Il rapporto si sofferma su uno dei parà, identificato come Lance Corporal F, presunto responsabile dell'omicidio di quattro o sei delle vittime di Bloody Sunday. «Lance Corporal F non ha sparato per paura o preso dal panico - sostiene il rapporto - siamo sicuri che abbia sparato pur essendo certo che nessuno dietro quella improvvisata barricata rappresentava una minaccia».
La giornata più importante per i familiari delle vittime di Bloody Sunday era cominciata con una marcia silenziosa dal Bogside (il quartiere repubblicano di Derry) fino alla Guildhall (il municipio) la destinazione originaria della marcia di 38 anni fa. Le foto delle vittime assieme a tanti volti noti della politica nordirlandese e a tanti che erano alla marcia quel 30 gennaio 1972. C'era Martin McGuinness, oggi vice primo ministro del nord Irlanda, allora (come lui stesso ha dichiarato a Lord Saville) comandante dell'Ira a Derry. Su McGuinness il rapporto dice che probabilmente «era armato quel giorno, ma non ha fatto nulla per provocare la reazione dei militari britannici».
L'inchiesta su Bloody Sunday era stata annunciata dall'allora premier Tony Blair, nel gennaio 1998, quando il processo di pace anglo-irlandese era a un punto critico. Il 9 aprile di quell'anno fu firmato il cosiddetto Accordo del venerdì santo. Il Bloody Sunday è sempre stato visto come una pietra miliare del conflitto anglo-irlandese, un evento che spinse verso la sua radicalizzazione. Per molti giovani fu proprio la brutalità dei parà e il pronto insabbiamento di quel massacro la molla che li spinse a unirsi all'Ira.
Oggi quel rapporto mette la parola fine sulla verità. I familiari delle vittime non nascondono la volontà di andare avanti, per riuscire a portare di fronte a un tribunale i responsabili del massacro. Ieri però è stato il giorno del ricordo e della giustizia. «Quando uno stato uccide i suoi cittadini, deve rispondere delle sue azioni. La lotta per la verità e la giustizia è stata un'ispirazione per la gente di Derry» ha detto Tony Doherty, figlio di una delle vittime, Patrick. «Mio fratello stava scappando quando i soldati gli hanno sparato» ha raccontato Joe Doddy riferendosi al fratello Jackie - ma il rapporto Widgery ha distrutto la memoria dei nostri cari. Oggi abbiamo vendicato i loro nomi. Jackie, come tutte le altre vittime, era innocente». Una copia del rapporto Widgery è stato fatto a pezzi dalle famiglie delle vittime. «Ci sono voluti quasi quarant'anni per poter scrivere la verità. Ma oggi posso dire a mio fratello Michael che può finalmente riposare in pace» ha concluso commossa Catherine Kelly.

Orsola Casagrande (Il Manifesto)

giovedì 10 giugno 2010

Comunicato

Non possiamo che unirci, come gruppo amante e divulgatore della libera informazione, allo sdegno generale per l'approvazione della cosiddetta "Legge Bavaglio" che, non appena entrerà in azione a tutti gli effetti, ridurrà la maggior parte dei quotidiani e Tg nazionali a semplici bacheche per gli annunci, permettendo la pubblicazione delle sole notizie prive di qualsiasi supporto serio. L'italia si appresta a ricevere un'informazione globale misurata dal metro di Studio Aperto, con l'applauso di tutte le persone disoneste di questo paese, dagli evasori ai mafiosi passando per i governanti.

L'Altro Pensiero

mercoledì 9 giugno 2010

Pornostar e attrici sexy: le priorità tutte italiane

Un corpo perfetto, completamente in deshabillé, tolti un paio di ali da angelo di piume bianche e dei sandali argentati, capelli biondo platino, sguardo ammiccante, e il titolo: “Questa donna è un pericolo pubblico”. E’ così che si presenta la copertina dell’ultimo numero diPanorama, in edicola questa settimana. Il titolo fa riferimento alla vicenda della pornostar ungherese Brigitta Bulgari, che è stata arrestata e rischia una condanna fino a 12 anni di reclusione per uno spogliarello troppo hard, avvenuto il 27 febbraio scorso in un locale di Fossato di Vico, provincia di Perugia.

Al di là delle considerazioni personali sulla vicenda e di un dibattito strettamente morale connesso al mestiere della signorina e alla sua colpevolezza o meno, è sconcertante notare come un qualunque giornale possa considerare un episodio del genere degno addirittura della copertina, in una situazione economica, politica e sociale drastica come quella in cui versa al momento il nostro paese. Nel momento in cui si discute e si lavora sulla legge contro le intercettazioni che metterebbe uno stretto bavaglio a tutta l’informazione libera, in cui emergono nuovi dati choc sul terremoto all’Aquila, in cui la percentuale dei disoccupati e dei cassaintegrati si innalza quotidianamente, non si trova niente di meglio da fare che sbattere in prima pagina la vicenda personale di una pornostar, come se questo fosse il massimo problema del Paese? Che Panorama non sia una rivista obiettiva ed imparziale, può essere prevedibile, ma la continua e deliberata negazione dei problemi del paese da parte di una fetta di politica, editoria e giornalismo potrebbe iniziare a diventare offensiva nei confronti dei cittadini.

Un episodio simile è avvenuto anche pochi giorni fa, quando l’attore italiano Lino Banfi, in una lettera aperta al Corriere della Sera, aveva chiesto al ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi il riconoscimento della legge Bacchelli (legge che prevede l’assegnazione di un assegno straordinario vitalizio a quei cittadini che si sono distinti nel mondo della cultura, dell’arte, dello spettacolo e dello sport, ma che versano in situazioni di indigenza) a favore dell’amica e attrice Laura Antonelli, che attualmente vive con una pensione di 510 euro al mese. “Sarà avviata al più presto la richiesta della procedura per il riconoscimento della legge Bacchelli a favore di Laura Antonelli” ha risposto il ministro in una nota. Senza entrare nel merito dell’effettiva necessità dell’attrice, rimane comunque l’amaro in bocca nel rendersi conto che lo stesso Governo che ha preannunciato tagli a mannaia su diversi e storici enti di diffusione della cultura del nostro paese, a causa di una manovra finanziaria di dubbia efficacia, possa ora trovare i motivi e i fondi per mantenere un’attrice sexy sull’orlo della rovina causata da una vita piuttosto squilibrata.

L’immagine dell’Italia che emerge da questi due episodi non è di certo delle migliori. Un’Italia talmente assuefatta alla cultura dell’edonismo mediatico sfrenato da legittimare il fatto che una rivista ‘d’informazione’ parli della vicenda giudiziaria di una pornostar, elevandola al ruolo di vittima della giustizia lapidaria, anziché dei veri problemi del paese; un’Italia pronta a mantenere le attrici sexy degli anni passati perché ‘distintesi nell’arte e nella cultura’, ma non i suoi giovani, sempre più logorati dalla mancanza di lavoro e di certezze per il futuro; ma anche un’Italia capace di tenere in considerazione la donna solo quando oggetto sessuale, e non quando madre, lavoratrice e cittadina. Un’Italia al contrario, distorta dalla visione del mondo patinata e illusoria creata dal ventennio berlusconiano, per cui la cultura si esaurisce nel sesso e la giustizia diventa la bestia nera che imprigiona povere innocenti, liquidando il tutto con un “c’era proprio bisogno di rinchiuderla?”. Rilanciamo la domanda: c’era davvero bisogno di parlarne?

Erica Balduzzi (Diritto di Critica)