domenica 18 aprile 2010

Pirateria, vittoria dei provider: "Non c'è obbligo di denuncia"





SOLO l'autorità giudiziaria può obbligare i provider a comunicare i nomi degli utenti che scaricano file pirata, a bloccare siti e servizi che causano gli illeciti. È con questo motivo che il Tribunale civile di Roma, con una sentenza pubblicata oggi, ha rigettato la sostanza delle richieste di Fapav a Telecom Italia.

È una vicenda che ha tenuto con il fiato sospeso centinaia di migliaia di utenti nelle scorse settimane. Fapav (Federazione anti pirateria audiovisiva) aveva infatti chiesto al Tribunale civile di Roma di imporre a Telecom Italia alcune misure straordinarie: denunciare alle autorità giudiziarie i propri utenti colpevoli di pirateria e bloccare l'accesso ad alcuni siti collegati in modo più o meno diretto al peer to peer (tra cui Italianshare, ItalianSubs, Vedogratis, Youandus, Italianstreaming, 1337x, Dduniverse, Angelmule, Italiafilm, Ilcorsaronero).

Il caso era stato avviato dopo le indagini compiute da Fapav attraverso un'azienda specializzata, la CoPeerRight Agency. Con tecniche investigative su internet aveva scoperto che "centinaia di migliaia" di utenti Telecom (si legge nella denuncia) avevano fatto 2,5 milioni di download pirata di nove titoli di film. Fapav ha potuto scoprire così solo l'indirizzo Ip, ma non i nomi degli utenti.

La brutta notizia per Fapav ora è che non potrà usare la via più breve per farsi giustizia. Il giudice infatti ha stabilito che non può chiedere a Telecom di rivelare i nomi degli utenti e di denunciarli all'attività giudiziaria. Telecom non può e non deve inoltre bloccare l'accesso a quei siti. Il motivo di fondo è che non è responsabile delle attività pirata degli utenti.


Il giudice così recupera la nota norma europea del codice delle comunicazioni elettroniche, secondo cui gli intermediari (in questo caso, dei provider internet) non sono responsabili di quello che fanno i propri utenti. Telecom addirittura, secondo la sentenza, non è obbligata nemmeno a informare gli utenti, cioè ad avvisarli che stanno commettendo illeciti e a persuaderli di smettere. Sono infatti tutti provvedimenti "da ritenere di competenza dell'autorità giudiziaria investita dell'accertamento delle violazioni", scrive il giudice. Insomma, l'industria del copyright deve seguire la via classica, niente scorciatoie: denunciare il fatto alle autorità giudiziarie, a cui spetta poi il compito di ottenere dal provider i nomi degli utenti e di oscurare i siti sospettati di favorire la pirateria.

Su un solo aspetto il giudice accoglie il ricorso di Fapav: ha stabilito che Telecom deve girare all'autorità giudiziaria le segnalazioni che vengono dai detentori di copyright, riguardo a presunte attività illecite sulla rete dell'operatore. "È solo un obbligo formale, senza reali implicazioni pratiche. Nella sostanza, vittoria su tutta la linea", dicono da Telecom Italia.

Fonte: Repubblica.it

mercoledì 14 aprile 2010

Cardinal Bertone: La pedofilia è legata all'omossualità

Vatican Secretary of State Cardinal Tarcisio Bertone

Il braccio destro del Papa ha colpevolizzato gli omosessuali per lo scandalo della pedofilia nella Chiesa Cattolica, mentre ha negato ogni legame tra la pedofilia ed il celibato sacerdotale. Parlando durante una visita in Cile, il cardinale Tarcisio Bertone, segretario dello Stato del Vaticano, ha detto: “Molti psicologi e psichiatri hanno dimostrato che non ci sono legami tra il celibato e la pedofilia. Ma molti altri hanno dimostrato, e l’ho detto di recente, ci sono dei legami tra l’omosessualità e la pedofilia. Questa è la verità. Questo è il problema”. Le sue dichiarazioni hanno provocato ieri reazioni furibonde dei portavoce della comunità gay. “Non ci sono relazioni tra la pedofilia e l’omosessualità”, ha dichiarato Rolando Jiménez leader del movimento per l’integrazione e la libertà degli omosessuali in Cile. “La gerarchia della Chiesa Cattolica sarà ad un certo punto costretta a scusarsi pubblicamente per questa perversione, per il losco atteggiamento di questo gentiluomo del Vaticano”. Ne Bertone ne il Vaticano hanno l’atorità morale per dare lezioni sulla sessualità”. Peter Tatchell, sostenitore per i diritti dei gay e portavoce della protesta contro la campagna papale, ha detto che il cardinale Bertone “ha, in effetti, accusato i preti gay per gli scandali dei pedofili”. Ha descritto il cardinale come “uno spietato distorsore della verità e uno scandaloso omofobo … La sua vile calunnia contro i gay porta disonore e vergogna alla Chiesa. Il Vaticano sta cercando di distogliere l’attenzione dai crimini sessuali dei preti accusando i gay.” Le osservazioni del cardinal Bertone sono state fatte dopo che un altro prelato cattolico aveva accennato ad una cospirazione sionista dietro alle accuse di abusi. Giacomo Babini, l’ex vescovo di Grosseto, è stato citato da un sito cattolico italiano lamentarsi di un attacco sionista contro la Chiesa. In un intervista descriveva gli ebrei come i “nemici naturali” del cattolicesimo. “In fondo, storicamente parlando, gli ebrei sono dei deicidi”. Mons. Babini ha continuato a sostenere che Hitler aveva sfruttato la rabbia tedesca nel corso degli “eccessi” degli ebre, che negli anni ’30 avevano “strangolato” l’economia tedesca. Mons. Babini, 81 anni, ha negato di aver fatto una simile dichiarazione, anche se il sito resta fedele alla sua storia. Come una tempesta ha preso forza il ruolo di eminenti esponenti del clero nel coprire lo scandalo degli abusi sessuali, la casa dove Papa Benedetto XVI è nato, nella cittadina di Marktl am Inn è stata imbrattata con insulti a caratteri cubitali. A Malta, dove il Papa arriverà questo fine settimana per una visita, cartelloni che avvisavano del suo arrivo sono stati imbrattati con immagini relative agli abusi sessuali. […] Il Vaticano ha cercato di scrollarsi di dosso le minacce fatte in Gran Bretagna a settembre che volevano vedere arrestato il Papa per crimini contro l’umanità. Geoffrey Robertson e Mark Stephens, avvocati, stanno valutando se potevano chiedere al Crown Prosecution Service di avviare un procedimento penale contro il Papa, iniziare la propria azione civile o fare riferimento a lui per la Corte penale internazionale. Si domanda se la Santa Sede è uno Stato sovrano, come sostiene, e se il Papa ha l'immunità diplomatica.
Padre Federico Lombardi, portavoce del Papa, l’ha definita un'idea originale e bizzarra. Ha detto che era chiaramente rivolta alla pubblica opinione, ma "penso che dovrebbe cercare qualcosa di più serio e concreto prima di poter rispondere a questo".

The Times, traduzione: Giulia Pradella

LINK ALL'ARTICOLO

http://www.timesonline.co.uk/tol/comment/faith/article7096149.ece

martedì 13 aprile 2010

Tempo di rispresa


Vista la crescente disoccupazione e i salari piatti, nessuno sta per mettersi a cantare "Happy Days Are Here Again" e di certo non lo faranno molto presto (anche se il brano è stato sigla del presidente Roosevelt). Ma ora abbiamo avuto un secco tre quarti di crescita, e il mese scorso ha visto la creazione di più di cento e cinquanta mila posti di lavoro. Tutto ciò ha spinto l'economista di Harvard, Jeff Frankel, membro della commissione che dichiara ufficialmente quando la recessione inizia e finisce, a dichiarare che la crisi finita. Così, a soli sette mesi dalle elezioni di medio termine, la gente sta cominciando a chiedersi come possa un semplice rimbalzo dare risultati in novembre.

Ora, i risultati economici non necessariamente determinano le elezioni; il suo impatto è stato proclamato nel 2002, per esempio, dall’ 11 settembre e poi nel 2006 in Iraq. Ed il suo impatto tende ad essere più grande nella corsa presidenziale che nelle elezioni di medio termine. Ma è tipicamente forte la correlazione tra come sta andando l’economia e come si sentono gli elettori, con economie deboli si danneggiano quelli i governi in carica e si aiutano gli avversari. (Ecco perché il Presidente ha la tendenza a cercare di addolcire l’economia sotto elezioni: nel 1972, Richard Nixon premette per un grande incremento dei sussidi per la sicurezza sociale, giusto prima delle elezioni.) E non importa se la colpa per un’economia povera potrebbe plausibilmente essere scaricata sulla precedente amministrazione: è il partito in carica quello che gli elettori considerano responsabile. In altre parole, se l’economia va male nel giorno delle elezioni, colpevolizzare George Bush probabilmente non ha funzionato. “Il vecchio partito si prende il merito e la colpa per il primo anno, e poi viene il nuovo partito economico”, ha detto Larry Bartels, un politologo di Princeton. “Da novembre, sarà l’economia dei Democratici”. Comprensibilemente, poi, I Repubblicani si sentono spensierati nelle loro prospettive per l’autunno. Anche se abbiamo una ripresa sostenuta, più di dieci milioni di persone saranno ancora disoccupate in novembre, e pochi americani staranno meglio di due anni fa. E l’economia debole ha già aiutato i Repubblicani, perché è più facile proporre quelli che John Sides, un politologo della Washington University, chiama “avversari di qualità” –tra loro, per esempio, gente che ha già ricoperto diverse cariche- quando le possibilità di vittoria sembrano buone. Mentre i candidati Democratici di alto profilo sono in discesa, tenaci candidati Repubblicani hanno deciso di cominciare la risalita.[…] I recenti segni di vita dell’economia, insieme allo stimolo di grandi somme di denaro, danno ai Democratici una miglior possibilità di evitare questo destino. Ma le economie non sono macchine. I Democratici dovranno passare i prossimi sette mesi più sulla linea degli elettori: aspettare e sperare che, finalmente, le cose tornino in pista.

The NewYorker, traduzione: Giulia Pradella
LINK ALL'ARTICOLO

lunedì 12 aprile 2010

L'IRA rivendica l'ultimo attentato.


L’ IRA rivendica la sua responsabilità per l’esplosione del MI5 nella sede centrale dell’Irlanda del Nord nel suo ultimo tentativo di assicurarsi il suo posto di eminente organizzazione repubblicana d’Irlanda che cerca con la forza di ottenere il ritiro dell’Inghilterra dal territorio irlandese.

L’esplosione al Palace Baracks, appena fuori Belfast, era calcolato perchè coincidesse con il trasferimento dei poteri di polizia e giustizia dal Westminster a Stormont. Più tardi oggi stesso l’Assemblea di Stormont eleggerà il ministro della giustizia, il primo nell’Irlanda del Nord in 38 anni.

L’esplosione è avvenuta subito dopo la mezzanotte. La bomba è esplosa nell’area circostante che è stata subito evacuata. Un uomo anziano è stato curato per aver riportato ferite non gravi.

Il dispositivo era stato piazzato in un taxi, che era stato dirottato nella zona di Ligoniel nella parte più a nord di Belfast, circa 11 km da Holywood. L’autista è stato preso in ostaggio da tre uomini circa due ore prima che gli venisse detto di guidare il suo taxi alla caserma. Il veicolo è stato abbandonato alla base giusto un attimo prima della mezzanotte, spingendo la polizia ed una squadra di sicurezza ad evacuare l’area. La bomba è esplosa all’incirca 20 minuti dopo mentre l’evacuazione era ancora in corso.

Ci sono state due esplosioni, prima la bomba e poi il serbatoio di benzina, che ha distrutto la macchina e danneggiato le proprietà circostanti. Il sovrintendente capo Nigel Grimshaw ha dichiarato che la polizia non aveva ricevuto un avvertimento telefonico riguardante l’attentato. “Ho visto dei bambini piccoli in braccio alle loro madri e ai loro padri, in un centro di accoglienza della comunità locale dove li hanno trasferiti. Queste sono il tipo di persone che sono state coinvolte in questa dimostrazione inutile” ha detto.

“Non c’è alcun dubbio che la mia mente è stata preparata ad uccidere e a ferire seriamente, e questo è esattamente ciò che sarebbe successo se non fosse stato per l’intervento dei mie ufficiali, dei colleghi militari e , di fatto, della comunità stessa che ha collaborato moltissimo con noi. Più di 60 persone sono state trasferite dalle loro case e hanno trascorso la notte nel centro della comunità”.

Nel mese di marzo l’Assemblea dell’Irlanda del Nord ha votato in favore del trasferimento dei poteri di polizia e giustizia. Dei 150 voti espressi nell’assemblea, un totale di 88 approvavano il trasferimento. 17 Uninionisti dell’Ulster hanno votato contro. Il disaccordo per i tempi della devoluzione del potere di giustizia aveva minacciato di distruggere l’amministrazione dell’Irlanda del Nord.

The Times, traduzione: Giulia Pradella

LINK ALL'ARTICOLO

http://www.timesonline.co.uk/tol/news/uk/article7095328.ece

Bangkok: il Rosso e il Nero

Nella capitale thailandese gas lacrimogeni, colpi di pistola e granate.

thailand riot


Le truppe tailandesi hanno sparato proiettili di gomma e gas lacrimogeni contro un centinaio di dimostranti, che combattevano con pistole, granate e bombe molotov, nella rivolta sono state uccise circa 15 persone, in quella che ormai è stata definita a Bangkok la peggiore violenza politica degli ultimi 18 anni. Sono 521, di cui 64 tra soldati e poliziotti, le persone coinvolte nei combattimenti scoppiati vicino il ponte di Phan Fah e nella Rajdumnoen Road nei vecchi quartieri di Bangkok, una base di protesta vicino alle sedi governative e alla sede regionale delle Nazioni Unite.

Dopo Ore di violenza, il portavoce dell’esercito Sansern Kaewkamnerd ha dichiarato che le truppe si sarebbero ritirate nei vecchi quartieri perché la rivolta si era espansa fino alla Khao San Road, un zona molto frequentata dai turisti. “Se si continua così, se l’esercito risponde alle camice rosse, la violenza aumenterà!” ha dichiarato Kaewkamnerd. Ha esortato i membri della protesta a fare lo stesso dei soldati ai quali lanciavano molotov e granate, e ritirarsi. Ha ribadito che alcuni nel corteo erano armati di pistole.

Uno dei leader delle camice rosse ha chiamato a raccolta i dimostranti invitandoli a ritornare ai principali luoghi di protesta. I dimostranti, intanto, stavano alzando la posta in gioco nelle loro dichiarazioni pubbliche contro il primo ministro, Abhisit Vejjajiva. “Noi stiamo cambiando il nostro progetto di sciogliere il parlamento in 15 giorni in sciogliere il parlamento immediatamente”, uno dei leader, Veera Musikapong, ha detto incitando la folla. “E noi chiediamo che Abhisit lasci il paese immediatamente”.

Altrove, un centinaio di camice rosse fanno irruzione negli uffici del governo in due città del nord.

The observer, traduzione: Giulia Pradella

LINK ALL'ARTICOLO

http://www.guardian.co.uk/world/2010/apr/10/troops-fire-bangkok-protesters

domenica 11 aprile 2010

POLITICA - Quando Dc e Pci ricostruirono la città


Mario Boni ha 88 anni, presidente onorario dell’Anpi Associazione Nazionale Partigiani d’Italia. Ha militato nella Brigata partigiana «Cesare Battisti». Dopo la Liberazione fu capogruppo Dc in Consiglio comunale, quindi primario dell’Ostetricia-ginecologia del «nuovo» ospedale castellano, nonché direttore sanitario dello stesso. Il suo commento alle (come sempre) ignoranti e inutili parole leghiste alla vigilia del ballottaggio di Castelfranco fanno capire che a volte un po' di cultura e di sana informazione non fa poi così male.

Chi non conosce la storia di Castelfranco dovrebbe evitare di dire baggianate. Sono indignato di quello che ho letto oggi sulla stampa (ieri, ndr.) sulle dichiarazioni di Luciano Dussin in merito a Donata Sartor: «Donata Sartor sta con i discepoli del comunismo. Suo padre negli anni ’50-60 aveva tentato di fermare l’avanzata rossa nel nostro paese. Lei invece sta con i comunisti e con Di Pietro». Dio ci salvi dall’ignoranza e, a questo punto, dalla Lega e dai suoi componenti che
ne spargono a piene mani. E il cielo salvi Castelfranco se prevarrà questa incultura della Lega. Io c’ero, alla fine della guerra e nella ricostruzione. Nesono un testimone diretto. Io sono stato partigiano con Gino Sartor, nella Brigata Cesare Battisti. C’erano sì a Castelfranco anche i partigiani «rossi», erano quelli di Salvatronda. Assieme ai questi «comunisti», dopo la fine della guerra, i fratelli Sartor hanno ricostruito Castelfranco. Ricostruito partendo
dalla Cultura: quella della solidarietà verso il prossimo, dell’impegno civile per la comunità, del far rinascere l’economia per dare lavoro ai castellani e non farli emigrare altrove. Era la cultura del «costruire» insieme, in condivisione, per la comunità, per tutti i cittadini, anche per quelli che a Castelfranco arrivavano da fuori. Queste sono le vere radici storiche di Castelfranco che l’hanno risollevata dalla miseria più nera. Certo a quei tempi di guerra fredda, negli anni 50 e 60, ognuno doveva fare la «guerra di facciata» contro il... nemico politico. Ma Castelfranco è stata costruita e ricostruita, scuole, ospedale, fabbriche, grazie alla vicinanza umana e alla collaborazione degli uomini dei «blocchi contrapposti». Io ho fatto per anni e anni, sindaco Domenico Sartor e poi suo fratello Gino il padre dell’attuale candidata sindaco,
il capogruppo della Dc in consiglio comunale. Ma il mio amico e il mio alleato più forte fu sempre il capogruppo dei comunisti, Odillo Pasqualetto. E fra Domenico Sartor - l’onorevole «vero» di Castelfranco - e il presidente della cooperativa rossa, Piero Bresolin, c’era un’amicizia che nessuno ha mai potuto scalfire. Lo stesso ospedale nuovo di quei tempi, la cui prima pietra fu posta nel 1946, ne è un frutto. Non è solo leggenda, quella che i primi denari per iniziare la costruzione dell’ospedale e dell’istituto agrario fossero il bottino tolto a una colonna tedesca in ritirata. È verità. Erano 107 milioni di allora. Che nessuno si spartì mai. Si misero d’accordo invece, democristiani e comunisti, e se ne servirono per la costruzione di quello che serviva alla comunità. Dando lavoro ai castellani tramite la cooperativa «rossa» di Bresolin, mentre gli ulteriori finanziamenti per le opere pubbliche venivano ottenuti grazie
all’influenza e all’intelligenza politica in Parlamento dell’Onorevole. Ecco, per amministrare Castelfranco gli «attributi» che servono non sono quelli citati da un Ministro-Governatore l’altro giorno.
Sono le idee.

martedì 6 aprile 2010

SPORT - Modelli Vincenti nello sport, ecco gli esempi di San Antonio e New England



Come si Vince?
E' questa la domanda principale che tutti gli sportivi si pongono. Quale strada percorrere al fine di raggiungere il successo e la gloria?
Purtroppo non esiste alcuna legge matematica in grado di rispondere a questo dilemma.
Può però risultare utile selezionare quelle squadre che sono riuscite negli anni ad ottenere grandi risultati ed analizzarle per capirne i "segreti".
In America vi sono due team che nei loro rispettivi sport hanno dettato legge nell'ultima decade meritandosi l'appellativo di dinastia: i San Antonio Spurs nella NBA(National Basketball Association) e i New England Patriots nella NFL(National Football League).
L'analisi di queste due organizzazioni non può di certo portare ad una legge che ci dia la certezza di ottenere il successo però può fornirci alcune indicazioni fondamentali al fine di creare un modello vincente.
Vale la pena innanzitutto ricordare perchè gli Spurs e i Patriots vengono considerati in America delle dinastie.
I San Antonio Spurs sono stati 4 volte negli ultimi 11 anni campioni NBA (1999-2003-2005-2007) e hanno recentemente raggiunto per la tredicesima volta consecutiva la post-season.
I New England Patriots hanno alzato al cielo il Vince Lombardi Trophy 3 volte (2001-2003-2004) senza contare il fatto che nel 2007 hanno chiuso la stagione con il record di 19 vinte e 1 persa (peccato che l'unica sconfitta sia occorsa proprio nel Superbowl XLII, ossia la finale).
Ad una prima analisi appare evidente come la differenza per entrambe le squadre venga fatta dalla forza della difesa.
Nello sport americano viene spesso ricordato un proverbio: "Gli attacchi vendono i biglietti, le difese vincono i titoli".
Ciò è storicamente vero in quanto sono pochi i team costruiti sull'efficienza offensiva che sono riusciti a vincere un titolo(Indianapolis Colts nel 2006 (NFL) e Los Angeles Lakers nel 2009 (NBA) anche se nelle fasi decisive è stata comunque la difesa a fare la differenza e non il seppur notevole potenziale offensivo).
I Patriots ma soprattuto gli Spurs hanno costruito la propria dinastia grazie alla solidità difensiva e quindi al credo che consiste nel far fare agli avversari un punto in meno di te.
I giocatori hanno inoltre bisogno di un capo allenatore in grando di tirare fuori il meglio dal gruppo, sia a livello motivazionale che a livello tecnico. Bill Belichick (head coach dei Patriots dal 2000) e Gregg Popovich (head coach ormai storico degli Spurs) sono tra i migliori capi allenatore dell'intero panorama professionistico americano. Il caso Gregg Popovich meriterebbe da solo una discussione a parte ma basti dire che la sua grandezza è data ad esempio dal modo in cui tratta Superstars e "seconde linee"; il trattamento equo che viene riservato a tutti i giocatori unito alla grandissima sapienza con cui viene schierata la difesa di San Antonio pone l'head coach degli Spurs nel gota del basket professionistico.
Altro aspetto fondamentale è la "chimica". I giocatori devono sentirsi parte attiva del gruppo, devono muoversi all'unisono con gli altri. Negli sport di squadra è fondamentale che ci sia affiatamento tra i giocatori e questo elemento è fondamentale per il successo finale.
In tale ottica devono essere valutate le campagne acquisti di queste due società. Prima si valutano le qualità umane e morali e solo successivamente quelle tecniche, fisiche e via dicendo.
E' in frangenti come questi che entra in azione la figura del General Manager. R.C. Buford, il General Manager degli Spurs, gode della stima e del rispetto di tutti gli addetti ai lavori per le grandi qualità che possiede. Il successo degli Spurs passa anche se non soprattutto attraverso le decisioni vincenti di Buford, quali le scelte di Parker e Ginobili, ma anche quelle di Bowen (per anni considerato il più forte difensore dell'intera Lega), Horry e compagnia.
Come sempre inoltre un pizzico di fortuna risulta indispensabile. Nel caso dei San Antonio Spurs si possono identificare due eventi in cui il caso ha svolto un ruolo fondamentale: in primis la possibilità si scegliere al draft del 1997 con la prima chiamata assoluta che sarebbe diventata poi Tim Duncan, da molti addetti ai lavori considerato il giocatore della decade 2000-2010. In secondo luogo la pesca di Manu Ginobili (fondamentale per i titoli del 2005 e del 2007) alla numero 57, ossia in fondo al draft, rapprensenta un misto tra buona sorte e grande scouting da parte della dirigenza nero-argento.
Per quanto riguarda i New England Patriots basti dire che Tom Brady, il quaterback considerato da molti il più forte in circolazione assieme a Peyton Manning, è stato scelto al sesto giro del draft del 2000 con la chiamata 199.
Riassumento il modello vincente prevede una struttura organizzativa molto solida, che sceglie prima gli uomini e poi i giocatori, tenendo sempre presente che le casse non sono illimitate e che è preferibile mettere sotto contratto un giocatore di livello medio ma che per caratteristiche tecniche e umane può inserirsi facilmente negli schemi della squadra piuttosto che una superstar che potrebbe incrinare il pur sempre fracile equilibrio dello spogliatoio. Occorre inoltre partire dalla difesa per vincere qualcosa di importante. L'attacco è la conseguenza di una buona difesa. Scouting e buona sorte al momento giusto rappresentano infine l'ingrediante ultimo ma fondamentale per poter essere competitivi ad alti livelli.

Le due dinastie sopra trattate sembrano purtroppo all'ultimo ballo; l'età dei giocatori chiave è ormai importante e le possibilità di ulteriori titoli sono limitate alle prossime 2 stagioni. A breve assisteremo ad una rifondazione necessaria per poter ricostruire una squadra competitiva e in grando di dettare legge nelle stagioni a venire. Resta però innegabile il fatto che le organizzazioni degli Spurs e dei Patriots rappresenteranno il punto di partenza per chi vorrà portare la propria squadra sul tetto del mondo.

Umberto Simola

giovedì 1 aprile 2010

POLITICA - "Come il caro vecchio Pci"


Penso che ciò che sopravvive a Recoaro debba essere visto come un bellissimo esempio da tutta la sinistra che deve fronteggiare in veneto l'orda leghista che pare, oggi più che mai, inarrestabile. Buona lettura.

E’ rimasta l’ultima roccaforte «rossa» della provincia di Vicenza. Dopo che anche una città col cuore a sinistra come Schio si è svegliata lunedì con la Lega Nord primo partito e la sinistra ai minimi storici, il risultato di Recoaro Terme, nel suo piccolo, fa storia: qui la Federazione della sinistra (che unisce Rifondazione e Comunisti italiani) raggiunge l’8,63 per cento.

La sinistra fieramente comunista raccoglie 303 voti, ed è il quarto partito dopo Lega, Partito democratico e Pdl. Altro che partiti «leggeri», «liquidi» o «mediatici»: confrontando le urne di oggi con quelle di cinque anni fa, i voti sono sempre gli stessi, saldi e sicuri. E sono quasi il doppio delle Europee dell’anno scorso. Un fortino granitico che sta in piedi - nel mezzo di un Veneto un tempo bianco e ora verde, sempre moderato - grazie a una formula antica: un’idea del partito come organizzazione radicata, una sede in piazza dove discutere guardandosi negli occhi, tanti giovani iscritti, mille occhi nelle fabbriche e poi feste di paese, bandiere e volantinaggi al mercato. «Qui abbiamo mantenuto credibilità perché abbiamo lavorato come lavorava il vecchio Pci, come partito di massa e non di opinione. Abbiamo ottenuto un risultato lusinghiero del 13 per cento con la nostra lista civica alle comunali del 2009, e oggi ci confermiamo con una percentuale toscana più che veneta» dice Giuliano Ezzelini Storti, unico consigliere comunale di Rifondazione comunista in tutta la provincia. Nato il 24 gennaio del 1982, operaio magazziniere alla Valentino Fashion group di Valdagno, è stato eletto lo scorso anno in opposizione alla anomala alleanza (vincente) fra Lega e Pd. A soli 28 anni, Storti ha raccolto, alle regionali di domenica e lunedì, 244 preferenze a Recoaro e 424 nella provincia, risultando il più votato nella sua lista e, in paese, secondo solo a miss preferenze, Elena Donazzan. Ed è lui che, con i compagni, ha voluto spostare in centro a Recoaro il circolo della Federazione della sinistra, intitolato al partigiano Clemente Lampioni. E’ l’unica sezione di partito del comune, nemmeno la Lega ne ha una. «Siamo l’unico circolo della provincia che organizza ancora la festa di Liberazione, ogni anno a Ferragosto, proprio dove il vecchio Pci faceva la festa dell’Unità, nelle scuole del centro - dice Ezzelini Storti -. Continuiamo a fare assemblee pubbliche e ad essere visibili sulla stampa». A vincere è anche quel radicamento operaio che non si è interrotto. «Abbiamo un rappresentante sindacale di riferimento per ogni grande fabbrica dove lavorano i recoaresi: allo stabilimento dell’acqua minerale, alla Marzotto, alla ex Raumer, alla Valentino Fashion group. Un punto di riferimento per raccogliere le istanze dei lavoratori, che poi portiamo dentro le istituzioni. Un esempio? La crisi della Gds di Cornedo Vicentino, entrata prepotentemente nelle istituzioni grazie alle nostre interrogazioni: nei Comuni della Valle dell’Agno, in Provincia, in Regione». Non è un caso, forse, che Ezzelini Storti sia il responsabile regionale per gli enti locali della Federazione. «Stasera in consiglio comunale porterò quattro proposte su lavoro, ambiente, scuola e giovani - racconta -.

Per il lavoro, vogliamo creare un fondo sociale che aiuti direttamente i lavoratori in cassa integrazione o mobilità, una delibera che stiamo facendo votare in tutti i comuni del Veneto. Un fondo aperto a tutti i residenti, anche agli immigrati». Già, perché, a quanto racconta il giovane consigliere, fra i monti di Recoaro la retorica leghista anti-immigrati non sembra attaccare più di tanto. «Recoaro è un modello dell’integrazione» dice Storti, citando il caso della «Chiamata di marzo», la sfilata festosa che ogni due anni, l’ultima domenica di febbraio, invade le strade con carri e figuranti in costume d’epoca. Un’antichissima tradizione contadina cimbra che saluta l’arrivo della primavera e che ha contagiato anche i cittadini extracomunitari. «Qui l’integrazione è talmente avanti che vedi persone di colore partecipare alla sfilata, vestiti da figuranti.

E’ impossibile che qui attecchisca la xenofobia e infatti la Lega cerca piuttosto di competere con noi sui temi sociali» prosegue il consigliere comunista con la barba e un nome altisonante («Ma sono un nobile senza portafoglio» scherza). Può sorprendere che, in un paese di quasi settemila abitanti dal glorioso passato fra le montagne vicentine, il partito con la falce e il martello possa contare su trenta giovani comunisti iscritti e su un segretario, Davide Marchi, di 21 anni. Ma stupisce ancora di più la fermezza di Ezzelini Storti quando gli si chiede il numero totale degli iscritti. «Quello non si dice, è segreto. I giovani sono una buona parte, ma il partito è molto più consistente» risponde. Fedele anche in questo alla vecchia scuola del Pci.

POLITICA - Il gene politico differente



La vittoria di Giorgio Orsoni al primo turno su Renato Brunetta nella corsa alla carica di sindaco di Venezia conferma sostanzialmente due cose. La prima è la diversità «genetica» della città rispetto al resto del Veneto, la seconda è che buona parte degli elettori leghisti tendono a «distrarsi» quando il candidato non è espressione diretta del Carroccio. Sul primo punto già molto si è detto in passato e il risultato di ieri ribadisce la tendenza politica della città, il suo essere isola in tutti i sensi, sia pur con il presidio di terraferma rappresentato da Mestre, il suo differenziarsi da una regione in cui evidentemente non si rispecchia e che (forse) non la riconosce. Si dirà che Brunetta, ministro arrivato nella sua laguna con progetti molto orientati sulla «discontinuità» rispetto alla gestione Cacciari, ha forse spaventato un elettorato in cui i dipendenti pubblici sono più presenti e rappresentati rispetto ad altre zone. La realtà, e qui veniamo al secondo punto, è che, se si analizzano i dati, si scopre facilmente che a Venezia centro storico e in parte a Mestre chi ha votato Zaia per il livello regionale, non ha poi fatto altrettanto per il candidato comunale del centrodestra. Confermando che una consistente parte dell’elettorato leghista sa essere molto selettiva nella scelta dei candidati locali. Anche troppo, specie quando non ci sono nomi «amici» di mezzo.

Editoriale di Ugo Savoia tratto dal "Corriere del Veneto" del 31.03.2010