mercoledì 16 giugno 2010
Bloody Sunday, 38 anni dopo arriva la verità
giovedì 10 giugno 2010
Comunicato
mercoledì 9 giugno 2010
Pornostar e attrici sexy: le priorità tutte italiane
Un corpo perfetto, completamente in deshabillé, tolti un paio di ali da angelo di piume bianche e dei sandali argentati, capelli biondo platino, sguardo ammiccante, e il titolo: “Questa donna è un pericolo pubblico”. E’ così che si presenta la copertina dell’ultimo numero diPanorama, in edicola questa settimana. Il titolo fa riferimento alla vicenda della pornostar ungherese Brigitta Bulgari, che è stata arrestata e rischia una condanna fino a 12 anni di reclusione per uno spogliarello troppo hard, avvenuto il 27 febbraio scorso in un locale di Fossato di Vico, provincia di Perugia.
Al di là delle considerazioni personali sulla vicenda e di un dibattito strettamente morale connesso al mestiere della signorina e alla sua colpevolezza o meno, è sconcertante notare come un qualunque giornale possa considerare un episodio del genere degno addirittura della copertina, in una situazione economica, politica e sociale drastica come quella in cui versa al momento il nostro paese. Nel momento in cui si discute e si lavora sulla legge contro le intercettazioni che metterebbe uno stretto bavaglio a tutta l’informazione libera, in cui emergono nuovi dati choc sul terremoto all’Aquila, in cui la percentuale dei disoccupati e dei cassaintegrati si innalza quotidianamente, non si trova niente di meglio da fare che sbattere in prima pagina la vicenda personale di una pornostar, come se questo fosse il massimo problema del Paese? Che Panorama non sia una rivista obiettiva ed imparziale, può essere prevedibile, ma la continua e deliberata negazione dei problemi del paese da parte di una fetta di politica, editoria e giornalismo potrebbe iniziare a diventare offensiva nei confronti dei cittadini.
Un episodio simile è avvenuto anche pochi giorni fa, quando l’attore italiano Lino Banfi, in una lettera aperta al Corriere della Sera, aveva chiesto al ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi il riconoscimento della legge Bacchelli (legge che prevede l’assegnazione di un assegno straordinario vitalizio a quei cittadini che si sono distinti nel mondo della cultura, dell’arte, dello spettacolo e dello sport, ma che versano in situazioni di indigenza) a favore dell’amica e attrice Laura Antonelli, che attualmente vive con una pensione di 510 euro al mese. “Sarà avviata al più presto la richiesta della procedura per il riconoscimento della legge Bacchelli a favore di Laura Antonelli” ha risposto il ministro in una nota. Senza entrare nel merito dell’effettiva necessità dell’attrice, rimane comunque l’amaro in bocca nel rendersi conto che lo stesso Governo che ha preannunciato tagli a mannaia su diversi e storici enti di diffusione della cultura del nostro paese, a causa di una manovra finanziaria di dubbia efficacia, possa ora trovare i motivi e i fondi per mantenere un’attrice sexy sull’orlo della rovina causata da una vita piuttosto squilibrata.
L’immagine dell’Italia che emerge da questi due episodi non è di certo delle migliori. Un’Italia talmente assuefatta alla cultura dell’edonismo mediatico sfrenato da legittimare il fatto che una rivista ‘d’informazione’ parli della vicenda giudiziaria di una pornostar, elevandola al ruolo di vittima della giustizia lapidaria, anziché dei veri problemi del paese; un’Italia pronta a mantenere le attrici sexy degli anni passati perché ‘distintesi nell’arte e nella cultura’, ma non i suoi giovani, sempre più logorati dalla mancanza di lavoro e di certezze per il futuro; ma anche un’Italia capace di tenere in considerazione la donna solo quando oggetto sessuale, e non quando madre, lavoratrice e cittadina. Un’Italia al contrario, distorta dalla visione del mondo patinata e illusoria creata dal ventennio berlusconiano, per cui la cultura si esaurisce nel sesso e la giustizia diventa la bestia nera che imprigiona povere innocenti, liquidando il tutto con un “c’era proprio bisogno di rinchiuderla?”. Rilanciamo la domanda: c’era davvero bisogno di parlarne?
Erica Balduzzi (Diritto di Critica)
lunedì 7 giugno 2010
Foto di violenze su bambine afghane trovate sul cellulare di un alpino
venerdì 4 giugno 2010
Le t-shirt dei soldati israeliani: Donna incinta? "Un colpo due morti..."
Nella foto qui sopra si vede una delle magliette ordinate dall'esercito israeliano con, al centro del mirino, l'obiettivo da colpire. Le altre sono visibili sul sito baruda.net . L’esercito più preparato e equipaggiato del pianeta, Tsahal, l'esercito di Israele, è ora al centro di aspre polemiche dopo la pubblicazione di un reportage di Uri Blau sul quotidiano israeliano "Haaretz" che ha gelato l’opinione pubblica internazionale. In Italia la notizia è stata silenziata, censurata.
24 Marzo 2009 -- La notizia ha fatto orrore ed è rimbalzata di blog in blog in tutto il mondo: la fornitura di t.shirt destinata a diversi battaglioni e brigate dell’esercito per celebrare la conclusione di alcuni corsi d’addestramento. Magliette che hanno fatto la fortuna, in poche settimana, dell’azienda tessile 'Adiv', di Tel-Aviv, specializzata nel rifornire i vari corpi dell’esercito di berretti, t.shirt e pantaloni. Un’ordinazione effettuata con la supervisione di alcuni sottufficiali. Una breve descrizione di quello che indossano orgogliosi questi soldati è sufficiente per capire la gravità dell’accaduto:
- “Un colpo, due morti”: il disegno è un mirino di un cecchino che punta direttamente sul 'pancione' di una donna palestinese. - “Usa il preservativo”: una mamma palestinese che tiene i braccio il suo bambino morto. - Un’altra maglietta, (fornita al battaglione Lavi) riporta un fumetto con un bambino palestinese, che nel crescere diventa prima un giovane lanciatore di pietre, poi un miliziano armato. La didascalia dice “Non importa come inizia, siamo noi a decidere quando finisce la partita”. - “Ogni madre araba deve sapere che il destino del proprio figlio è nelle mie mani” (questa in particolare fornita su richiesta della Brigata Givati).
E purtroppo la lista potrebbe continuare. Già due anni fa era scoppiata una polemica perché, tra i soldati di uno dei reparti d’elite dell’Israel Defence Force, circolava una t-shirt con disegnato un mirino che puntava un bimbo arabo e la scritta che recitava “Più è piccolo, più è difficile”, e nessuno era stato punito per questo.
Oltre all’uso spietato di fosforo bianco, a quello massiccio dei nuovi armamenti composti dalle micidiali bombe "Dime", all’aver colpito rifugi per profughi segnalati dalle Nazione Unite, all’aver impedito che stampa e soccorsi entrassero nell’intera Striscia di Gaza per settimane, oltre ad aver ucciso più di 1400 civili, il popolo palestinese deve subire anche l'oltraggio di queste magliette. E il sorriso di chi le indossa.