martedì 4 dicembre 2012

Religiolus - La verità è vicina



Vi proponiamo questo interessante film-documentario sulla questione dei credenti nel mondo e delle loro imprescindibili convinzioni. La questione è molto delicata ma affrontare giorno per giorno una discussione sul tema dovrebbe essere la cosa più normale in un mondo che vuole crescere veramente. Purtroppo, come vedrete, le persone non sono sempre disposte ad un dialogo sereno, ne tanto meno a rinunciare alla sottomissione alle ombre nella caverna.

Personalmente trovo criticabili alcune scelte fatte dal protagonista del video che non tocca molti punti della follia umana espressa in religione (forse perché un prodotto vendibile al pubblico americano non può sforare più di tanto dei canoni piuttosto bassi di qualità) ma è lo stesso un contributo più che apprezzabile.

Scrivete nei commenti qui sotto cosa ne pensate! ;)

Buona visione! 

ATTENZIONE!!! Il film non è stato caricato da "L'Altro Pensiero" e non è ospitato su nostri server

lunedì 26 novembre 2012

Syriza vola nei sondaggi greci




Secondo un sondaggio apparso lunedì (26.11.2012) in Grecia, la coalizione di sinistra Syriza vincerebbe le prossime elezioni superando di oltre 5 punti la destra attualmente al potere. Un sondaggio, questo, che esprime un forte rigetto delle politiche di austerity, oltre a segnare la fine del potere della maggioranza liberale in parlamento ed aprire la strada alle elezioni anticipate.

Con oltre il 26% delle preferenze, la coalizione Syriza si prenderebbe un bel vantaggio sui conservatori al potere dallo scorso giugno. Il partito del primo ministro Antonis Samaras "Nuova Democrazia", sempre secondo i sondaggi, si attesterebbe sul 21.5%, perdendo così oltre 8 punti percentuali. "Alba Dorata", il partito di estrema destra, è in netto aumento con un 13.5% contro il 7% registrato cinque mesi fa.
Ciò che si può leggere chiaramente da questo sondaggio è che i greci non credono più nelle misure di austerità ne alla politica attuata fin qui dal governo Samaras. Infatti, solo il 10% degli intervistati, pensa che i prossimi "aiuti" dall'UE, sempre che vengano effettivamente sbloccati, possano salvare il paese. Due greci su tre considerano insufficienti i tentativi fatti dal governo per negoziare sulla questione aiuti alla riunione dei ministri economici UE tenutasi il 20 novembre scorso e conclusasi con un nulla di fatto. Per il 76% delle persone ascoltate questo si può spiegare soltanto con l'incapacità e mancanza di volontà dei membri del governo.

Di conseguenza, se le elezioni anticipate dovessero avere luogo a breve, non è chiaro come una maggioranza liberale, devota ai dogmi imposti dal Fondo Monetario Internazionale e dall'UE, potrebbe essere ancora competitiva. Dato che questo scenario è tutt'altro che improbabile, la maggioranza all'Assemblea, favorevole al rigore economico, rischia di disintegrarsi. Inoltre sia i socialisti del Pasok che i conservatori dell' ND, hanno sistematicamente escluso dai loro ranghi tutti i parlamentari che hanno votato contro l'austerità, obbligando gli altri ad un'unica possibilità di voto. Infatti al voto dello scorso 8 novembre, dove s'impose il taglio di oltre 18 miliardi al budget del paese, sei parlamentari social-democratici del Pasok ed un altro di Nuova Democrazia, sono stati silurati dai loro rispettivi gruppi parlamentari.

Alexis Tsipras, candidato di Syriza reclama a gran voce queste elezioni anticipate per portare al potere un "governo di salvezza sociale per salvare il paese dalla distruzione e dal caos". 

Tratto da  www.humanite.fr
(Traduzione di Fabrizio Ruffini)

martedì 13 novembre 2012

Le primarie in cifre



Di seguito trovate i risultati dei sondaggi effettuati dai principali quotidiani italiani, più o meno schierati, dopo il confronto TV di ieri fra i cinque candidati alle primarie del centro-sinistra .

Corriere

 L'Unità

 La Stampa

 Il Fatto Quotidiano

Più dettagliato il sondaggio di Repubblica che sottolinea come Bersani sia in leggero vantaggio su Renzi ma come quest'ultimo intercetti i voti dei giovani:



martedì 30 ottobre 2012

Eloy Gutiérrez Menoyo, amico/nemico di Fidel





Comandante della rivoluzione cubana divenuto oppositore del regime castrista, partigiano del cambiamento in favore del dialogo e della riconcigliazione nazionale, Eloy Gutierrez Menoyo è morto venerdì 26 ottobre 2012 a L'Avana a 77 anni per un infarto. Di origine spagnola, ha voluto vivere fino all'ultimo giorno a Cuba. "Nessuno amava quest'isola più di mio padre", ha detto sua figlia Patricia Gutierrez al momento della sepoltura delle ceneri al cimitero di Colon di L'Avana.

Era l'ultimo sopravissuto dei tre comandanti stranieri della rivoluzione, dopo la morte dell'americano William Morgan, accusato di essere un agente della CIA e fucilato nel 1961, e l'argentino Ernesto "Che" Guevara, morto in Bolivia nel 1967.

UN NAUFRAGIO DOLOROSO

La sua romanzesca vita è legata a doppio filo alla rivoluzione cubana. "Della rivoluzione cubana que sembrava dettata dalla poesia nel 1959 oggi non rimangone che i resti di un doloroso naufragio", scriveva Eloy Gutierrez Menoyo nel suo testamento consegnato a sua figlia, che lo ha reso pubblico all'indomani della sua morte. "La volontà di Fidel Castro di restare al potere ha prevalso sul rinnovamento proposto da diversi progetti cubani", ha constatato al crepuscolo della sua esistenza.

Nato a Madrid l'8 dicembre 1934 in una famiglia repubblicana, Eloy Gutierrez Menoyo ha due anni quando scoppia la guerra civile spanola. Suo padre, un medico socialista, si arruola nell'armata repubblicana, come suo fratello, José Antonio, che è morto durante la battaglia di Majadahonda, vicino a Madrid. Dopo la sconfitta repubblicana, la sua famiglia si rifugiò in Francia dove un'altro dei suoi fratelli, Carlos, si unì alla resistenza e partecipò alla liberazione di Parigi con la divisione del genereale Leclerc.

IL SECONDO FRONTE

Nel 1945, la sua famiglia si stabilì a Cuba. Dopo alcuni anni di tregua, i fratelli Gutierrez Menoyo ripresero le armi contro il dittatore Fulgencio Batista che si era impadronito del potere con un colpo di stato del marzo del 1952. 
Il 13 marzo 1957, Carlos tenta di conquistare il palazzo presidenziale alla testa di un piccolo commando per giustiziare il dittatore. L'assalto è respinto e Carlos viene ucciso. Qualche mese più tardi, Eloy forma il "Secondo fronte" di armate ribelli sul massiccio dell'Escambray, al centro dell'isola, con il vecchio militare americano William Morgan.

Il nuovo gruppo di ribelli infligge alcuni duri colpi alle truppe di Batista e facilitano l'avanzare delle colonne comandate da Fidel Castro e Che Guevara. Meno di due anni dopo l'entrata trionfale dell'armata a L'Avana, Gutierrez Menoyo denuncia la svolta filo-sovietica di Fidel Castro e si auto-esilia a Miami. Si unisce all' Alpha 66, un'organizzazione di esiliati uniti nella lotta armata contro il regime castrista. Nel dicembre del 1964, sbarca clandestinamente a Cuba con tre esiliati per organizare una guerrilla anticastrista sulle montagne dell'Escambray.

SAPEVO CHE SARESTI TORNATO

Meno di un mese più tardi, è arrestato e condotto davanti a Fidel Castro che gli dice: "Eloy, sapevo che saresti tornato, ma sapevo anche che ti avrei catturato".
A seguito di un breve processo, in mezz'ora è condannato a morte. Poi la sua pena viene ridotta a 30 anni di prigione dei quali ne sconterà 22. Si rifiuta di portare l'uniforme dei detenuti per crimini comuni ed è brutalmente malmenato, perderà così la vista da un occhio e soffrirà pe sempre di sordità.

Gutierrez Menoyo viene liberato bel 1986 grazie all'intervento del presidente spagnolo, il socialista Felipe Gonzalez. A seguito della sua scarcerazione si trasferisce prima in Spagna e poi a Miami, dove è accolto come un eroe. Ma l'idillio dell'esilio in Florida è di breve durata.
Dopo aver creato l'associazione Cambio Cubano, che intende stabilire un dialogo con le autorità dell'isola per arrivare ad una riconciliazione nazionale, è bersaglio di violenti attacchi dei dirigenti in esilio che lo accusano di tradimento.

Viaggia a Cuba diverse volte. Incontra Fidel Castro nel 1995 e tenta, senza successo, di convincelo ad introdurre dei cambiamenti democratici. Nel 2003, si trasferisce a L'Avana, senza l'autorizzazione delle autorità, le quali, però, tollerano la sua presenza ma non gli permettono di aprire una sede di Cambio Cubano. 
Le sue idee si richiamano alla social-democrazia, ha sempre denunciato l'embargo imposto dagli Stati Uniti ed ha mantenuto delle relazioni con i rappresentanti della dissidenza moderata come Manuel Cuesta e l'economista Oscar Espinosa Chepe. 


Jean-Michel Caroit , Le Monde (30.10.12)
Traduzione di Fabrizio Ruffini

lunedì 29 ottobre 2012

#NoMontiDay 27 ottobre, Roma




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lunedì 22 ottobre 2012

Il paese degli schizzinosi




Oggi, 22 ottobre 2012, finalmente abbiamo capito cosa non funziona in questo paese! A renderci edotti sulla questione ci ha pensato niente popò di meno che il Ministro del lavoro e del walfare (sempre che siano due temi ancora alla moda in Italia). Bene, voi pensavate che ci fosse la crisi dietro alla situazione disastrosa dei livelli di occupazione nel nostro paese? Pensavate che i big della finanza avessero fatto un po' troppo i loro porci comodi creando una situazione incontrollabile ed insanabile in Europa? Pensavate che molti datori di lavoro avessero cavalcato questa situazione andando a pescare spesso e sempre di più dalle mitiche mangiatoie e false servitù della gleba quali cassa-integrazione e stages?


NO! VI SBAGLIAVATE DI GROSSO.

Il problema è che i giovani sono schizzinosi.


Infatti tu, caro neolaureato, o tu, caro neodiplomato, se pensavi che il tuo primo impiego fosse un miraggio perché viene sempre e comunque richiesta esperienza o dove non viene richiesta viene offerto uno stage, che nella migliore delle ipotesi contempla un rimborso spese, ti sei mai chiesto se non sia il caso di smetterla di essere schizzinoso?

Eh già, perché quelli che vedi al TG che in 8000 corrono a candidarsi per un posto di commesso "domenicale" alla PAM (link) hanno studiato per lavorare li! Si sono impegnati e hanno dato esami quali "Gestione di cassa I - II e III", "Teoria e tecnica dello scarico merci" e "Fondamenti di salumeria". 
Pensa che si sono candidati in così tanti per un numero molto inferiore di posti quando potevano benissimo andare a fare gli avvocati o i giornalisti anche se non avevano studiato propriamente per quel campo d'impiego, dannati schizzinosi!
Quindi ripeti con me: "Il posto fisso è monotono" (prima lezione, ricordi?), "Non fare lo schizzinoso" e accetta una qualsiasi delle migliaia di offerte di lavoro che ti pioveranno addosso anche se non rispecchieranno subito il naturale proseguimento dei tuoi studi, c'è sempre tempo dopo per sceglierne un altro quando ti stuferai.

Ora, scherzi (???) a parte. Quando ho letto le parole del Ministro Fornero oggi sono rimasto fermo a fissare lo schermo alcuni minuti chiedendomi se fosse vero quello che stavo leggendo. Sarà che la questione mi tocca personalmente dato che ultimamente gran parte del mio tempo lo passo a scorrere offerte di lavoro (dai concorsi pubblici al posto di 3 mesi come fattorino, tanto perché sono schizzinoso) cercando su Google Maps il prossimo indirizzo della lista al quale recapitare l'ennesima copia del mio best seller gratuito "Il mio curriculum vitae" che sta raggiungendo oramai tirature bibliche.
Poi però penso a quando a Roma, ma anche più vicini a casa, vedo passare un'auto blu con scorta, penso all'organizzazione, monarchica oserei dire, che si mette in moto ogni qual volta un politico di spicco fa visita a qualsivoglia paese o manifestazione e mi rendo conto di come mai e poi mai questa gente potrà avere il polso della situazione nazionale e mai e poi mai potrà avere la percezione di come viva io o qualsiasi altra persona comune (nel bene e nel male). 

Cito testualmente dalla pagina Wikipedia del Ministro:

"È moglie di Mario Deaglio, Professore Ordinario in economia dell'Università di Torino, con cui ha un figlio di nome Andrea, regista, e una figlia di nome Silvia, Professore Associato in genetica medica presso l'Università di Torino e Responsabile della ricerca alla HuGeF (Istituto di ricerca scientifica fondato dalla Compagnia di San Paolo[6] di cui era vicepresidente Elsa Fornero)".

Ora, senza nulla togliere a lei o alla sua famiglia, ma come può una persona che solo a livello famigliare attuale ha questa situazione mettersi nei panni e poter fare il meglio di un'ipotetica signora Carla la cui vita affettiva può essere raccontata così (non da Wikipedia però):

"E' moglie di Mario Casoni, operaio cassaintegrato Fiat, con cui ha un figlio di nome Andrea, neolaureato in cerca di occupazione, e di una figlia di nome Silvia, laureata in lettere, precaria della scuola in attesa dello sblocco delle classi di concorso e baby sitter part-time in casa del signor Lorenzi (fratello della signora Carla)".


E' abbastanza chiaro che non sia possibile mettersi una nei panni dell'altra saltando così da un universo all'altro. 


In democrazia dovrebbe sempre vincere la maggioranza e proprio la maggioranza dovrebbe essere rappresentata. Chi ha da sempre governato l'Italia (in particolare in questi ultimi vent'anni) non rappresenta che una fetta del tutto minoritaria della società sia per stile di vita che per interessi e obiettivi, quindi non può e non deve essere chiamata in causa per discutere e decidere del futuro di un'intera società.

Fabrizio Ruffini


domenica 7 ottobre 2012

Mar gh'era




Qualche giorno fa sono stato con la mia Vespa (o Star per i puristi) nella zona industriale di Porto Marghera perché era un po' che volevo realizzare un piccolo reportage fotografico sul degrado e l'abbandono di quello che per decenni è stato lo sporco cuore pulsante della famosa "locomotiva del nord-est". Ahimè quello che mi si è presentato davanti è stato esattamente ciò che mi aspettavo: tutta l'area del porto e le ex zone paludose strappate alla natura nei primi anni del '900 per far posto a quell'industria tanto invocata dal potere veneziano, che dovette espandere la propria influenza sulla terra ferma per placare la sua voglia di condotte forzate e ciminiere, si è concessa lentamente tra la nebbia del mattino in tutto il suo squallore non offrendo altro che capannoni smembrati, parcheggi vuoti e ciminiere senza sbuffi.
Ma lo squallore in questo caso, va precisato, non è dato tanto dall'ammasso di ferraglia, cemento, cavi e binari a perdita d'occhio, quanto piuttosto dal fatto che tutto ciò sia li, arrugginito, maltenuto, vuoto e spettrale.

Quando il grande complesso fu inaugurato, infatti, con buona pace dell'ambiente, fu una manna portatrice di lavoro che richiamò nella nuova frazione chiamata Marghera migliaia di famiglie che poterono finalmente coronare il sogno di un salario a fine mese ed una casa vera in cui vivere.
Si dice che il nome Marghera derivi dall'antico modo di dire veneziano Mar gh'era, ossia "il mare c'era, era qui" per via di canali d'acqua marina che arrivavano fino al suo territorio dalla laguna, interrati successivamente per costruire gli edifici. Questo aneddoto penso possa andar bene anche oggi se al posto del mare pensiamo il lavoro. Un lavoro che sembra essere stato anch'esso interrato per sempre, immobilizzato e smembrato da politiche economiche subdole e scriteriate che compiono un imbarazzante calcolo di profitti tra macchinari ed operai e senza alcuno scrupolo decidono di punto in bianco di vendere, dislocare all'est(ero) dove quegli stessi operai valgono ancora meno o semplicemente di chiudere.

Proprio in questi giorni alcuni operai di una delle tante aziende in crisi del polo (la Vinyls, articolo) sono saliti sul campanile di San Marco per protestare contro l'illusione di un salario che non arriva da mesi e le continue prese in giro dei datori di lavoro.
Queste cose oramai le si leggono ovunque tutti i giorni e come sempre si rischia di diventare lettori vaccinati e di passare oltre senza dar troppo peso ai problemi altrui, già pressati come siamo dai nostri. Invito tutti caldamente, però, a farsi un giro in questo tipo di realtà per poter aprire gli occhi e restare basiti difronte a scene che non stonerebbero in un film neorealista del secondo dopoguerra: prostitute minorenni e sempre più di nazionalità italiana, moglie e marito che pescano in un canale pieno di fosfati che passa vicino al petrolchimico come se dall'abboccare di qualcosa dipendesse la loro esistenza (cosa che non stenterei a credere), sciami di lavoratori in attesa del solito giro di caporalato,  immondizia, facce stanche e sfiduciate, brandelli di bandiere di gruppi sindacali che sventolano appesi a cancelli ormai chiusi per sempre.

Questo tour dantesco lo consiglierei soprattutto a chi fissa appuntamenti in hotel di lusso e ristoranti con gli industriali per parlare del futuro delle fabbriche dimenticando di chiedere il parere al fattore umano che in quelle fabbriche lavora e vive, a chi dovrebbe fare da difensore dei diritti dei lavoratori e vigile di imprenditori col vizio dell'espatrio e a chi promette promette e promette e poi fa sgomberare i picchetti dalla celere. A questa gente consiglierei un giretto al mattino di buon'ora a Marghera, ma anche a Taranto, a Genova o a Portovesme in Sardegna e tutti gli altri tumori di un'economia capitalista caduta in disgrazia.

Fabrizio Ruffini


Di seguito alcune foto scattate quella mattina:









 







venerdì 5 ottobre 2012

Se tutto questo non fosse accaduto in Italia




Oggi, 5 ottobre, in Italia si è tornati a parlare di diritti e di scuola. Ahimè  l'interlocutore è stato lo stesso di sempre: il manganello.
Vedere ragazzi minorenni pestati per strada dalle forze dell'ordine dovrebbe fare sempre schifo, al di là di qualsiasi contesto. In Italia, invece, la cosa appare ciclicamente nei telegiornali e sembra essere stata ben metabolizzata da chiunque dato che i commenti lapidari dei giornalisti si limitano alla descrizione nuda e cruda dei fatti. Per questo ho molto apprezzato un testo pubblicato su Facebook dal gruppo "Informare per resistere" che ipotizza come questa stessa notizia sarebbe stata presentata se gli scontri avessero avuto luogo in uno dei paesi considerati soggiogati da un regime dittatoriale come Cuba. Buona lettura!

                                                                                                               Fabrizio Ruffini


Se fosse successo a Cuba, avremmo probabilmente letto:

TG3: Il regime non tollera che i giovani possano liberamente manifestare contro un sistema che offre un’istruzione scadente e riservata solo ai figli dei funzionari del partito comunista. La repressione si è scatenata feroce contro ragazzi inermi, armati solo di speranza e di innocente desiderio di cambiare un sistema moribondo, che di qualitativamente apprezzabile riesce a produrre solo sigari per i ricchi fazenderos dell’isola.

La Repubblica: La crudeltà dei carabineros, arruolati tra le fila dell’esercito popolare della Corea del Nord, non ha lesinato sprangate contro i poveri studenti che chiedevano solo di poter usare almeno le matite per scrivere, stanchi come sono di usare dei fiammiferi usati (peraltro reperibili solo al mercato nero e venduti in valuta pregiata). La famosa blogger cubana Sanchez ha invitato le democrazie occidentali a intervenire per creare
 una no fly zone sopra l’Avana per permettere agli studenti di poter accedere agi istituti.

Giulio Terzi di Sant’Agata: E’ doveroso lanciare un ammonimento, ma sarebbe più convincente una pioggia di missili, al regime del dittatore che si permette di schiacciare nel sangue la legittima protesta del popolo che non chiede altro che democrazia, pace e libertà.

GR1: Non c’è pace in Cina, figuriamoci a Cuba. I reparti speciali della polizia del regime, addestrati già in Tibet per la repressione della primavera araba, hanno brutalmente malmenato gli studenti che protestavano pacificamente per chiedere che venga introdotta almeno una materia d’insegnamento. Fino ad oggi infatti nelle scuole del regime si insegna solo una materia, cioè il marxismo. Secondo un testimone raggiunto dal nostro inviato, i poliziotti pestavano gli studenti cantando in coro Bandiera Rossa, sghignazzando sguaiatamente.

lunedì 11 giugno 2012

Lasciamo l'Aquila così com'è





Dal terremoto che distrusse l'Aquila sono passati oramai più di tre anni e la situazione, almeno per quanto riguarda il centro storico della città, non sembra migliorata come ci si aspettava: i palazzi sono ancora puntellati e inagibili, le strade ancora piene di calcinacci e le persone praticamente scomparse. L'Aquila al momento resta un monumento incredibile di un'epoca, una testimonianza sbalorditiva di come interessi privati e politici sorvolino sulle conseguenze umane dovute a determinate scelte fatte per favorire i singoli e bloccando cantieri, sviluppo e vita della gente al solo scopo di guadagnare "di più" sulla disgrazia.

Francia, la guerra sta per finire ma in uno sperduto paesino del centro-sud, Oradure-sur-Glane, uno di quei posti che venivano a sapere solo dai giornali della guerra che imperversava per il continente, una mattina con un tragico colpo di coda i nazisti misero in atto una delle tante vendette vigliacche verso i civili. Quasi tutta la popolazione di Oradure venne trucidata e la cittadina venne messa a ferro e fuoco. 

L'orrore incredulo di chi, qualche giorno dopo, si trovò davanti ad una tale inspiegabile sciagura, portò i pochi superstiti e le autorità francesi nel primissimo dopoguerra a valutare l'ipotesi di lasciare l'intero paese così com'era stato trovato, a perenne memoria del periodo più buio del paese e dell'Europa intera. Ancora oggi chi visita la cittadina fantasma di Oradure non può che restare impressionato dai segni lasciati dal passaggio dei nazisti, e nascono spontanei, anche nel più scettico dei visitatori, sentimenti di orrore e ripudio verso tanta violenza gratuita.

Tornando all'Aquila, anche se la scelta di lasciare la città nelle sue condizioni attuali risulta ancora più difficile dato che gli Aquilani non sono morti ma costretti a vivere in case "provvisorie", l'idea di avere un enorme monumento all'inettitudine della classe politica italiana di questi ultimi anni, alle telefonate divertite di imprenditori del mattone con la bava alla bocca al solo pensiero di una ricostruzione costosissima ed infinita, al G8 spostato dalla Sardegna (dov'erano stati costruiti dagli stessi sciacalli dell'edilizia delle strutture inutili) all'Aquila (dove gli stessi allestirono il nuovo ritrovo dei potenti), al capo della Protezione Civile invischiato in questioni che con il volontariato umanitario avevano ben poco a che fare, ad un presidente operaio che dispensava benedizioni e promesse come il papa in visita ad un paese africano, a tutto questo e a quanto ne ha conseguito servirebbe un monumento, un monumento grandioso come l'Aquila, così che tutti in futuro possano ricordare il passaggio della politica nei momenti di crisi in Italia.


Fabrizio Ruffini



Oradure-sur-Glane


 L'Aquila


venerdì 8 giugno 2012

Perché l'antipolitica fa bene ai partiti




Scrive oggi Michele Serra su Repubblica che le azioni dei principali partiti politici italiani, soprattutto dall'esplosione del fenomeno Grillo, sembrano cercare scientificamente di fornire ogni volta un nuovo pretesto agli indecisi per non andare a votare o per votare chi rappresenta di più il "vaffanculo a tutti". Nel mio essere perfettamente d'accordo con Serra, soprattutto per quando riguarda la sua posizione sull'idea di partiti come entità positive almeno nella loro forma ideale, non posso non sottolineare il fatto di non condividere troppo lo stupore verso i partiti che fanno di tutto per scoraggiare la gente spingendola a non votare. Per come la vedo io questo modo di agire è perfettamente in linea con la situazione di oligarchia democratica che sta vivendo oggi l'Italia. I personaggi che popolano senato e parlamento sono sempre stati in quell'ambiente, sotto una bandiera o sotto l'altra, e non hanno nessuna intenzione di andarsene; così, come in una combine calcistica in cui si cerca a tutti i costi il pareggio che non faccia troppo male ne a uno ne all'altro, i partiti si fanno una feroce guerra di parole, salvo poi votare compatti su questioni più "personali" come vecchi amici senza rancori. 
Come dicevo, questo tipo di atteggiamento non è strano neppure in un periodo di enorme sfiducia nei confronti della politica, anzi, mantenendo uno zoccoletto duro di voti a testa ci si assicura di restare al proprio posto per sempre, lasciando che il malcontento e la disaffezzione politica si sfoghino in Grillo e in altri partiti minori che difficilmente potranno cambiare davvero le cose sul lungo periodo. Basta ricordare che nei referendum (che spesso e volentieri potrebbero realmente cambiare le cose) esiste una rigida asticella per il quorum, mentre anche se tre quarti d'Italia non andasse a votare per le elezioni politiche, a decidere sarebbero sempre i pochi elettori rimasti. Niente sorprese quindi, solo comunicazione inversa.

Fabrizio Ruffini


L'articolo di Michele Serra:



lunedì 23 aprile 2012

Pertini, discorso per il 25 aprile 1970



Era molto che volevo scrivere un articolo su uno dei personaggi che hanno segnato maggiormente il mio pensiero di uomo e di cittadino. Penso che Pertini condensi nel suo personaggio rimasto alla storia d'Italia tutto quello che si dovrebbe trovare in un onesto uomo politico nel nostro paese. Come disse Montanelli: "Non serve essere socialisti per amare Pertini, tutto ciò ch'egli dica o faccia profuma di pulizia, lealtà e sincerità". Sarà sicuramente l'epoca differente ma anche solo ascoltare o leggere un discorso di Pertini commuove, apre la mente, la rimette in moto come un combustibile sconosciuto. La fine retorica, mai banale o pesante ma sempre chiara e forte che si percepisce ascoltandolo insinua un sentimento di calore e sicurezza nell'ascoltatore che difficilmente si prova sentendo parlare qualche politico venuto dopo e non stupisce il fatto che tutti lo amassero e lo considerassero come il nonno buono e saggio degli italiani.
In questo giorno tanto importante e tanto bistrattato che dovrebbe essere la festa dell'Italia intera che ricorda lo sforzo dei propri giovani per liberarla e che invece subisce ancora, e sempre di più, le violenze di persone (politici in testa) che preferiscono voltare pagina dimenticando e lasciando che il rischio reale di ricadere in errori simili al fascismo si ripresenti sulla testa di una nazione troppo giovane per poter tagliare il cordone ombelicale con la resistenza, sua vera ed unica madre.
Molto altro ancora si potrebbe dire su questo argomento che riprenderò sicuramente più avanti, ora vi lascio alla lettura, BUON 25 APRILE!

Fabrizio Ruffini


25 aprile 1970

Alla nostra mente e con un fremito di commozione e di orgoglio si presentano i nomi di patrioti già membri di questo ramo del Parlamento uccisi sotto il fascismo: Giuseppe Di Vagno, Giacomo Matteotti, Pilati, Giovanni Amendola; morti in carcere Francesco Lo Sardo e Antonio Gramsci, mio indimenticabile compagno di prigionia; spentisi in esilioFilippo Turati, Claudio Treves, Eugenio Chiesa, Giuseppe Donati, Picelli caduto in terra di Spagna, Bruno Buozzi crudelmente ucciso alla Storta.

I loro nomi sono scritti sulle pietre miliari di questo lungo e tormentato cammino, pietre miliari che sorgeranno numerose durante la Resistenza, recando mille e mille nomi di patrioti e di partigiani caduti nella guerra di Liberazione o stroncati dalle torture e da una morte orrenda nei campi di sterminio nazisti.

Recano i nomi, queste pietre miliari, di reparti delle forze armate, ufficiali e soldati che vollero restare fedeli soltanto al giuramento di fedeltà alla patria invasa dai tedeschi, oppressa dai fascisti: le divisioni «Ariete» e «Piave» che si batterono qui nel Lazio per contrastare l'avanzata delle unità corazzate tedesche; i granatieri del battaglione «Sassari» che valorosamente insieme con il popolo minuto di Roma affrontarono i tedeschi a porta San Paolo; la divisione «Acqui» che fieramente sostenne una lotta senza speranza a Cefalonia e a Corfù; i superstiti delle divisioni «Murge», «Macerata» e «Zara» che danno vita alla brigata partigiana «Mameli»; i reparti militari che con i partigiani di Boves fecero della Bisalta una roccaforte inespugnabile.

Giustamente, dunque, quando si ricorda la Resistenza si parla di Secondo Risorgimento. Ma tra il Primo e il Secondo Risorgimento vi è una differenza sostanziale. Nel Primo Risorgimento protagoniste sono minoranze della piccola e media borghesia, anche se figli del popolo partecipano alle ardite imprese di Garibaldi e di Pisacane. Nel Secondo Risorgimento protagonista è il popolo. Cioè guerra popolare fu la guerra di Liberazione. Vi partecipano in massa operai e contadini, gli appartenenti a quella classe lavoratrice che sotto il fascismo aveva visto i figli suoi migliori fieramente affrontare le condanne del tribunale speciale al grido della loro fede.

Non dimentichiamo, onorevoli colleghi, che su 5.619 processi svoltisi davanti al tribunale speciale 4.644 furono celebrati contro operai e contadini.

E la classe operaia partecipa agli scioperi sotto il fascismo e poi durante l'occupazione nazista, scioperi politici, non per rivendicazioni salariali, ma per combattere la dittatura e lo straniero e centinaia di questi scioperanti saranno, poi, inviati nei campi di sterminio in Germania, ove molti di essi troveranno una morte atroce.

Saranno i contadini del Piemonte, di Romagna e dell'Emilia a battersi e ad assistere le formazioni partigiane. Senza questa assistenza offerta generosamente dai contadini, la guerra di Liberazione sarebbe stata molto più dura. La più nobile espressione di questa lotta e di questa generosità della classe contadina è la famiglia Cervi. E saranno sempre figli del popolo a dar vita alle gloriose formazioni partigiane.

Onorevoli colleghi, senza questa tenace lotta della classe lavoratrice - lotta che inizia dagli anni '20 e termina il 25 aprile 1945 - non sarebbe stata possibile la Resistenza, senza la Resistenza la nostra patria sarebbe stata maggiormente umiliata dai vincitori e non avremmo avuto la Carta costituzionale e la Repubblica.

Protagonista è la classe lavoratrice che con la sua generosa partecipazione dà un contenuto popolare alla guerra di Liberazione.

Ed essa diviene, così, non per concessione altrui, ma per sua virtù soggetto della storia del nostro paese. Questo posto se l'è duramente conquistato e non intende esserne spodestata.

Ma, onorevoli colleghi, noi non vogliamo abbandonarci ad un vano reducismo. No. Siamo qui per porre in risalto come il popolo italiano sappia battersi quando è consapevole di battersi per una causa sua e giusta; non inferiore a nessun altro popolo.

Siamo qui per riaffermare la vitalità attuale e perenne degli ideali che animarono la nostra lotta. Questi ideali sono la libertà e la giustizia sociale, che - a mio avviso - costituiscono un binomio inscindibile, l'un termine presuppone l'altro: non può esservi vera libertà senza giustizia sociale e non si avrà mai vera giustizia sociale senza libertà.

E sta precisamente al Parlamento adoperarsi senza tregua perché soddisfatta sia la sete di giustizia sociale della classe lavoratrice. La libertà solo così riposerà su una base solida, la sua base naturale, e diverrà una conquista duratura ed essa sarà sentita, in tutto il suo alto valore, e considerata un bene prezioso inalienabile dal popolo lavoratore italiano.

I compagni caduti in questa lunga lotta ci hanno lasciato non solo l'esempio della loro fedeltà a questi ideali, ma anche l'insegnamento d'un nobile ed assoluto disinteresse. Generosamente hanno sacrificato la loro giovinezza senza badare alla propria persona.

Questo insegnamento deve guidare sempre le nostre azioni e la nostra attività di uomini politici: operare con umiltà e con rettitudine non per noi, bensì nell'interesse esclusivo del nostro popolo.

Onorevoli colleghi, questi in buona sostanza i valori politici, sociali e morali dell'antifascismo e della Resistenza, valori che costituiscono la «coscienza antifascista» del popolo italiano.

Questa «coscienza» si è formata e temprata nella lotta contro il fascismo e nella Resistenza, è una nostra conquista, ed essa vive nell'animo degli italiani, anche se talvolta sembra affievolirsi. Ma essa è simile a certi fiumi il cui corso improvvisamente scompare per poi ricomparire più ampio e più impetuoso. Così è «la coscienza antifascista» che sa risorgere nelle ore difficili in tutta la sua primitiva forza.

Con questa coscienza dovranno sempre fare i conti quanti pensassero di attentare alle libertà democratiche nel nostro paese.

Non permetteremo mai che il popolo italiano sia ricacciato indietro, anche perché non vogliamo che le nuove generazioni debbano conoscere la nostra amara esperienza. Per le nuove generazioni, per il loro domani, che è il domani della patria, noi anziani ci stiamo battendo da più di cinquant’anni.

Ci siamo battuti e ci battiamo perché i giovani diventino e restino sempre uomini liberi, pronti a difendere la libertà e quindi la loro dignità.

Nei giovani noi abbiamo fiducia.

Certo, vi sono giovani che oggi «contestano» senza sapere in realtà che cosa vogliono, cioè che cosa intendono sostituire a quello che contestano. Contestano per contestare e nessuna fede politica illumina e guida la loro «contestazione». Oggi sono degli sbandati, domani saranno dei falliti.

Ma costoro costituiscono una frangia della gioventù, che invece si orienta verso mete precise e che dà alla sua protesta un contenuto politico e sociale. Non a caso codesta gioventù si sente vicina agli anziani antifascisti ed ex partigiani, dimostrando in tal modo di aver acquisito gli ideali che animarono l'antifascismo e la Resistenza.

Sandro Pertini
Discorso alla Camera del 25 aprile 1970



"Smarcamenti" ed esempi virtuosi


Da "Occupy Bank" allo straordinario sistema di credito/debito in prova a Nantes, dalla rinascita dal basso argentina al walfare del comune di Capannori; tanti esempi vicini e lontani da noi che mostrano come di fronte alla crisi non si debba MAI arrendersi e pensare che nulla possa essere fatto per cambiare la situazione. Il neo-liberismo che sta distruggendo il mondo occidentale ha bisogno di essere, se non bloccato, almeno rallentato il più possibile nella sua folle corsa auto-distruttiva.
Il reportage di Michele Buono girato per Report rappresenta una straordinaria testimonianza di questa forza che nasce dalla gente comune che decide di prendere in mano il proprio futuro che per troppo è rimasto legato a doppio filo con quello dei padroni d'azienda, di business-men senza scrupoli, di politici lontani dalla gente.
Possiamo imparare moltissimo noi, ma può (DEVE!!!) imparare molto anche la nostra classe politica, a livello nazionale come a quello locale. Per troppo tempo sono stati i freddi dati statistici o gli acuminati grafici finanziari a decidere della vita e della morte, della felicità e della disperazione, del successo e della disgrazia delle persone. Oggi il mondo che queste politiche cieche e sorde hanno portato sull'orlo del baratro chiedono un volto più umano e reale a chi è chiamato a decidere del suo futuro.
Questo documentario va quindi guardato come una ricca fonte d'informazione, ma anche come un monito, o meglio un consiglio, a chi potrebbe accorgersi troppo tardi che la gente è pronta a presentare il conto e a proseguire personalmente nella gestione di tutto ciò che sono i beni comuni.

Fabrizio Ruffini

BUONA VISIONE!


L'occidente vive una crisi paurosa. E' possibile uscirne? Come? Esistono altri modelli di economia e di finanza: il modello di società in cui viviamo non è l'unico possibile, è solo il frutto delle nostre decisioni. La via d'uscita c'è.
La Congregazione.
Il gruppo sanitario che fa capo alla Congregazione dei Figli dell'Immacolata Concezione gestisce importanti ospedali e case di cura. Oggi il gruppo si trova in forte crisi. Cosa c'è dietro le difficoltà finanziarie del gruppo?
C'è chi dice no: Riccardo Antonini.
In 32 anni da operaio delle ferrovie Riccardo Antonini non ha mai ricevuto un provvedimento disciplinare. Testimone nel 2009 del disastro di Viareggio, si schiera dalla parte dei familiari: licenziato in tronco.


domenica 25 marzo 2012

La nuova/vecchia faccia del padrone


L’azzeramento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non è una misura per rendere flessibile il mercato del lavoro, ma per rendere rigidi (fino al parossismo) il regime di fabbrica e la stretta sui ritmi di lavoro. Certamente nei prossimi mesi e anni ci saranno, uno a uno, o, meglio, quattro a quattro ogni quattro mesi, decine di migliaia di licenziamenti individuali per “motivi economici”.

Sappiamo già chi verrà colpito, perché da qualche mese i capi girano nei reparti e minacciano i delegati non allineati e gli operai che resistono all’intensificazione del lavoro, annunciando loro che, «appena passa l’abolizione dell’art. 18, sei fuori!». Così, se alla manifestazione della Fiom del 24 febbraio, su 50 mila partecipanti, almeno 40 mila erano lavoratori e lavoratrici della Fiom, possiamo essere sicuri, con uno scarso margine di errore, che, al ritmo di 12 all’anno per azienda, quei lavoratori verranno espulsi dal loro posto di lavoro ottenendo con il tempo quello che Marchionne ha realizzato in un colpo solo, cambiando nome allo stabilimento di Pomigliano e tenendovi fuori tutti i tesserati Fiom. E lo stesso avverrà con altre migliaia di lavoratori, già ben identificati, nella maggior parte delle aziende di altri settori. Se Barozzino, Pignatelli e La Morte, i tre operai della Sata di Melfi licenziati dalla Fiat per rappresaglia contro uno sciopero, ci hanno messo più di un anno per dimostrare le loro ragioni di fronte ai giudici e, nonostante l’ordine di reintegro, non viene loro concesso di rientrare in fabbrica, possiamo immaginare che cosa succederà con le decine di migliaia di lavoratori già in lista per essere licenziati individualmente “per motivi economici”. I quali, per dimostrare di essere stati oggetto di una discriminazione, e non di una esigenza “economica”, dovranno andare a cercare tra i loro compagni di lavoro qualcuno disposto a testimoniare in loro favore, sotto la minaccia di entrare così anche lui, nel giro dei successivi quattro mesi, nella lista degli esuberi per motivi “economici”.

Così diverse decine di migliaia di lavoratori andranno ad aggiungersi, grazie all’azzeramento dell’articolo 18, all’esercito dei disoccupati senza reddito che i tagli di bilancio, la riforma degli ammortizzatori sociali a costo zero e le crisi aziendali stanno moltiplicando nel nostro paese. Con in più il fatto che, se è quasi impossibile per un giovane trovare oggi un posto di lavoro, per i lavoratori e le lavoratrici di una certa età sarà ancora più difficile, e per quelli usciti dal loro impiego con un licenziamento individuale – cioè con le stimmate di una espulsione discriminatoria – il licenziamento equivarrà all’iscrizione in una lista di proscrizione. È una cosa che le persone di una certa età ricordano bene quando alla Fiat, prima dell’autunno caldo di quarant’anni fa, imperversava il regime imposto da Vittorio Valletta. Siamo ritornati là; anzi peggio, perché allora l’economia tirava mentre adesso non c’è alcuna speranza di tornare in tempi accettabili a una qualsiasi forma di ripresa della crescita. E soprattutto dell’occupazione. Ma l’uscita dalle aziende di alcune decine di lavoratori con posto fisso non apre certo le porte a nuove assunzioni, come è ovvio a qualsiasi persona che non sia in malafede. Semplicemente chiude per sempre davanti ai lavoratori licenziati le porte di un altro impiego. Perché la domanda di lavoro non c’è e non saranno certo le politiche economiche di Monti e della Bce a crearla (basta vedere quello che la Bce ha combinato in Grecia e in Portogallo, paesi solo di un anno davanti a noi nella corsa verso il disastro).

Ma quei lavoratori licenziati non avranno più né cassa integrazione (né ordinaria, né straordinaria, né in deroga), né mobilità, né “scivolo” verso il prepensionamento; solo una modesta somma di denaro e un anno di disoccupazione. Poi si ritroveranno per strada senza reddito e con nessuna possibilità di un nuovo lavoro: nemmeno d un lavoro precario: perché se mai ci sarà da assumere qualcuno in un call-center o in una cooperativa di facchinaggio, non andranno certo ad assumere un 40-50enne licenziato, quando è e sarà pieno di giovani più adatti a lavori del genere. Così, nel giro di qualche anno, assisteremo a questo rovesciamento dei rapporti intergenerazionali: se fino ad oggi molti dei giovani assunti in qualche forma di lavoro precario e intermittente hanno potuto contare sulla casa, la pensione, lo stipendio fisso o qualche altra forma di aiuto da parte dei loro genitori, nei prossimi anni saranno i lavoratori anziani (cioè ultracinquantenni) senza pensione né salario a dover contare sui redditi saltuario dei loro figli precari per sopravvivere.

Ma se questo è il panorama che ci aspetta fuori delle fabbriche e delle aziende, quello che si prospetta al loro interno è anche peggio. Perché là si vivrà sotto il ricatto permanente del licenziamento individuale “per motivi economici”; e se questo potrà colpire solo pochi lavoratori per volta – non più di dodici all’anno per azienda – funzionerà perfettamente da deterrente per tutti gli altri. Perché, con poche eccezioni, le imprese e l’imprenditoria italiana ormai impegnate a difendere i loro sempre più risicati margini di competitività contando esclusivamente sull’intensificazione dei ritmi di lavoro e la compressione dei salari, non hanno certo la cultura aziendale e la lungimiranza per farsi sfuggire un’occasione del genere: non avrebbero insistito tanto per l’abrogazione dell’art. 18.

Posto fisso vuol dire accumulo di esperienza, quel patrimonio aziendale – a patto di saperlo e volerlo valorizzare – che tante imprese italiane hanno sacrificato ai vantaggi offerti dall’ingaggio del lavoro precario e malpagato. L’azzeramento dell’articolo 18 è un invito a continuare su questa strada, perché rinunciare all’esperienza dei lavoratori anziani vuol dire ricominciare ogni volta da capo e mantenersi ai livelli tecnologici più bassi. Così, quello che non sono riusciti a fare Berlusconi, Maroni e Sacconi in 17 anni, Monti lo sta portando a termine in pochi mesi. Il piatto è servito e quello che resta da fare, prima che passi in Parlamento il cosiddetto decreto sul mercato del lavoro – in realtà, sulla disciplina di fabbrica e l’ampliamento dell’ “esercito industriale di riserva” – ma anche dopo, se sarà approvato, è continuare ad opporsi senza se e senza ma.

La posta in gioco e troppo alta e anche coloro che in azienda non ci sono ancora, non ci sono più, o non ci saranno mai, dovrebbero capirlo e agire di conseguenza. Quale che ne sia l’esito, questa mossa di Monti e Fornero deve diventare per tutti il simbolo dell’ipocrisia, della malafede e della pochezza di questa campagna di governo.

di Guido Viale (Il Manifesto)

giovedì 1 marzo 2012

Io sto con chi "se l'è cercata"




Se l’è cercata è il commento sulla tragedia di Luca Abbà che con svariati ornamenti e orpelli circola nei giornali amici di Berlusconi, o di sua proprietà, e nei programmi televisivi di ‘approfondimento’. “Uno che sale su un traliccio non è un eroe – ha scritto ad esempio Sallusti – è uno che mette in pratica cose cretine ed illegali. Se l’è cercata e l’ha trovata, nel caso c’è pure l’aggravante dell’età, 37 anni, che rende il tutto oltre che tragico pure patetico. Abbà è vittima di se stesso”. Queste parole sono la sintesi di un modo di pensare tipico della storia secolare dell’Italia dei servi. Se l’è cercata, lo diceva la plebe di Napoli quando assisteva all’impiccagione di Eleonora de Fonseca Pimentel, una delle figure più fulgide della Rivoluzione Napoletana del 1799. “Un po’ se l’è cercata”, ha detto Giulio Andreotti (settembre 2010) a proposito di Giorgio Ambrosoli assassinato l’11 luglio 1979 perché aveva scoperto e denunciato le attività criminali di Michele Sindona. Se l’è cercata, è il giudizio pronunciato a voce bassa nei bar tutte le volte che una persona degna è sconfitta, o assassinata. Se l’è cercata, commentano molti maschietti italiani quando leggono o apprendono di una donna violentata. La logica di questo sragionamento è sempre la medesima. I responsabili del crimine, come nel caso di Sindona, o coloro che hanno spinto a un gesto disperato sono assolti da ogni responsabilità, mentre la vittima è degradata al rango di un folle mosso da pensieri deliranti o da brama di protagonismo. È l’odio che spinge a pensare così, quell’odio tenace che nasce dall’invidia che persone vili provano nei confronti di chi dimostra una morale che li pone più in alto rispetto a loro.
Anche gli individui più ferocemente legati ai propri privilegi, spesso conquistati con il servilismo, avvertono per le persone moralmente ferme un sentimento di ammirazione. Ma poiché non sanno o non vogliono imitarle, le odiano e non vedono l’ora di assistere alla loro caduta, a terra, per potersi finalmente sentire superiori: ‘io sono vivo e so curare meglio di voi i miei interessi’ . Su un punto i sostenitori del se l’è cercata hanno ragione. Le persone che lottano, soffrono e si sacrificano per degli ideali non sono affatto dei temerari, dei dissennati o dei vanagloriosi che gettano la vita alle ortiche per avere il plauso degli schiocchi. Sono persone che meditano sul significato e sulle conseguenze delle proprie azioni. Giorgio Ambrosoli sapeva benissimo cosa stava facendo. Sapeva di rischiare la morte. Ma sapeva anche che era suo dovere andare fino in fondo per inchiodare Sindona alle sue responsabilità e per dimostrare che anche i più potenti criminali possono essere sconfitti e dare in questo modo l’esempio per altri. Analoga consapevolezza dei doveri nei confronti della propria coscienza e delle conseguenze delle proprie azioni ispirò il comportamento di Carlo Rosselli quando, rinchiuso al confino, rifiutò di scrivere al duce per ottenere la libertà.
Lo stesso, per le medesime ragioni, fece Ferruccio Parri: “Io non sono un Pinco Pallino qualunque, uno dei tanti che possa dire: compatite un giovinotto inesperto che non sapeva quel che si facesse, ora mi sono stufato di stare sotto aceto, lascia-temi andare che starò bravo. La coerenza per me non è una parola vana, un suono vuoto di senso. […] Sono disposto ad ogni sacrificio pur di non compiere mai nessun atto che sconfessi la mia opera, il mio passato, che giudichi contrario al mio onore, cioè alla mia legge di vita”. Martin Luther King era ben consapevole di quanto odio il suo impegno per i diritti civili suscitava nei razzisti americani, ma non per questo si fermò. Quelli che se la sono cercata a volte falliscono per poca prudenza; ma quando vincono, purtroppo di rado, il mondo diventa un luogo più umano, per tutti, anche per quelli che non cercano nulla e accettano tutto. Quelli che disprezzano chi se l’è cercata, poche volte falliscono, per la semplice ragione che non perseguono fini difficili, e quando vincono, come spesso avviene, il mondo diventa più disumano, soprattutto per chi non vuole vivere da servo. Salire su un traliccio dell’alta tensione è il gesto di chi ritiene di non avere altri modi efficaci di combattere contro qualcuno di molto più forte. I disperati per cause di giustizia meritano sempre rispetto. Per questo io sto con quelli che se la sono cercata e se la cercano e detesto con tutto me stesso chi li deride. Mi auguro che la tragedia di Luca Abbà serva almeno a rafforzare in Italia la lotta di chi vuol difendere, con metodi pacifici e civili, quel poco di bellezza ambientale (che la Repubblica secondo la Costituzione deve tutelare) contro un’opera costosa e inutile, voluta da chi misura il progresso in termini di velocità dei mezzi di comunicazione e non in termini di cultura e di dignità civile.

Maurizio Viroli [Il Fatto Quotidiano]


Aggiungiamo in coda lo splendido intervento di Travaglio di ieri a "Servizio Pubblico", chiarissimo ed esplicativo della situazione Tav-No-Tav