martedì 30 ottobre 2012

Eloy Gutiérrez Menoyo, amico/nemico di Fidel





Comandante della rivoluzione cubana divenuto oppositore del regime castrista, partigiano del cambiamento in favore del dialogo e della riconcigliazione nazionale, Eloy Gutierrez Menoyo è morto venerdì 26 ottobre 2012 a L'Avana a 77 anni per un infarto. Di origine spagnola, ha voluto vivere fino all'ultimo giorno a Cuba. "Nessuno amava quest'isola più di mio padre", ha detto sua figlia Patricia Gutierrez al momento della sepoltura delle ceneri al cimitero di Colon di L'Avana.

Era l'ultimo sopravissuto dei tre comandanti stranieri della rivoluzione, dopo la morte dell'americano William Morgan, accusato di essere un agente della CIA e fucilato nel 1961, e l'argentino Ernesto "Che" Guevara, morto in Bolivia nel 1967.

UN NAUFRAGIO DOLOROSO

La sua romanzesca vita è legata a doppio filo alla rivoluzione cubana. "Della rivoluzione cubana que sembrava dettata dalla poesia nel 1959 oggi non rimangone che i resti di un doloroso naufragio", scriveva Eloy Gutierrez Menoyo nel suo testamento consegnato a sua figlia, che lo ha reso pubblico all'indomani della sua morte. "La volontà di Fidel Castro di restare al potere ha prevalso sul rinnovamento proposto da diversi progetti cubani", ha constatato al crepuscolo della sua esistenza.

Nato a Madrid l'8 dicembre 1934 in una famiglia repubblicana, Eloy Gutierrez Menoyo ha due anni quando scoppia la guerra civile spanola. Suo padre, un medico socialista, si arruola nell'armata repubblicana, come suo fratello, José Antonio, che è morto durante la battaglia di Majadahonda, vicino a Madrid. Dopo la sconfitta repubblicana, la sua famiglia si rifugiò in Francia dove un'altro dei suoi fratelli, Carlos, si unì alla resistenza e partecipò alla liberazione di Parigi con la divisione del genereale Leclerc.

IL SECONDO FRONTE

Nel 1945, la sua famiglia si stabilì a Cuba. Dopo alcuni anni di tregua, i fratelli Gutierrez Menoyo ripresero le armi contro il dittatore Fulgencio Batista che si era impadronito del potere con un colpo di stato del marzo del 1952. 
Il 13 marzo 1957, Carlos tenta di conquistare il palazzo presidenziale alla testa di un piccolo commando per giustiziare il dittatore. L'assalto è respinto e Carlos viene ucciso. Qualche mese più tardi, Eloy forma il "Secondo fronte" di armate ribelli sul massiccio dell'Escambray, al centro dell'isola, con il vecchio militare americano William Morgan.

Il nuovo gruppo di ribelli infligge alcuni duri colpi alle truppe di Batista e facilitano l'avanzare delle colonne comandate da Fidel Castro e Che Guevara. Meno di due anni dopo l'entrata trionfale dell'armata a L'Avana, Gutierrez Menoyo denuncia la svolta filo-sovietica di Fidel Castro e si auto-esilia a Miami. Si unisce all' Alpha 66, un'organizzazione di esiliati uniti nella lotta armata contro il regime castrista. Nel dicembre del 1964, sbarca clandestinamente a Cuba con tre esiliati per organizare una guerrilla anticastrista sulle montagne dell'Escambray.

SAPEVO CHE SARESTI TORNATO

Meno di un mese più tardi, è arrestato e condotto davanti a Fidel Castro che gli dice: "Eloy, sapevo che saresti tornato, ma sapevo anche che ti avrei catturato".
A seguito di un breve processo, in mezz'ora è condannato a morte. Poi la sua pena viene ridotta a 30 anni di prigione dei quali ne sconterà 22. Si rifiuta di portare l'uniforme dei detenuti per crimini comuni ed è brutalmente malmenato, perderà così la vista da un occhio e soffrirà pe sempre di sordità.

Gutierrez Menoyo viene liberato bel 1986 grazie all'intervento del presidente spagnolo, il socialista Felipe Gonzalez. A seguito della sua scarcerazione si trasferisce prima in Spagna e poi a Miami, dove è accolto come un eroe. Ma l'idillio dell'esilio in Florida è di breve durata.
Dopo aver creato l'associazione Cambio Cubano, che intende stabilire un dialogo con le autorità dell'isola per arrivare ad una riconciliazione nazionale, è bersaglio di violenti attacchi dei dirigenti in esilio che lo accusano di tradimento.

Viaggia a Cuba diverse volte. Incontra Fidel Castro nel 1995 e tenta, senza successo, di convincelo ad introdurre dei cambiamenti democratici. Nel 2003, si trasferisce a L'Avana, senza l'autorizzazione delle autorità, le quali, però, tollerano la sua presenza ma non gli permettono di aprire una sede di Cambio Cubano. 
Le sue idee si richiamano alla social-democrazia, ha sempre denunciato l'embargo imposto dagli Stati Uniti ed ha mantenuto delle relazioni con i rappresentanti della dissidenza moderata come Manuel Cuesta e l'economista Oscar Espinosa Chepe. 


Jean-Michel Caroit , Le Monde (30.10.12)
Traduzione di Fabrizio Ruffini

lunedì 29 ottobre 2012

#NoMontiDay 27 ottobre, Roma




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lunedì 22 ottobre 2012

Il paese degli schizzinosi




Oggi, 22 ottobre 2012, finalmente abbiamo capito cosa non funziona in questo paese! A renderci edotti sulla questione ci ha pensato niente popò di meno che il Ministro del lavoro e del walfare (sempre che siano due temi ancora alla moda in Italia). Bene, voi pensavate che ci fosse la crisi dietro alla situazione disastrosa dei livelli di occupazione nel nostro paese? Pensavate che i big della finanza avessero fatto un po' troppo i loro porci comodi creando una situazione incontrollabile ed insanabile in Europa? Pensavate che molti datori di lavoro avessero cavalcato questa situazione andando a pescare spesso e sempre di più dalle mitiche mangiatoie e false servitù della gleba quali cassa-integrazione e stages?


NO! VI SBAGLIAVATE DI GROSSO.

Il problema è che i giovani sono schizzinosi.


Infatti tu, caro neolaureato, o tu, caro neodiplomato, se pensavi che il tuo primo impiego fosse un miraggio perché viene sempre e comunque richiesta esperienza o dove non viene richiesta viene offerto uno stage, che nella migliore delle ipotesi contempla un rimborso spese, ti sei mai chiesto se non sia il caso di smetterla di essere schizzinoso?

Eh già, perché quelli che vedi al TG che in 8000 corrono a candidarsi per un posto di commesso "domenicale" alla PAM (link) hanno studiato per lavorare li! Si sono impegnati e hanno dato esami quali "Gestione di cassa I - II e III", "Teoria e tecnica dello scarico merci" e "Fondamenti di salumeria". 
Pensa che si sono candidati in così tanti per un numero molto inferiore di posti quando potevano benissimo andare a fare gli avvocati o i giornalisti anche se non avevano studiato propriamente per quel campo d'impiego, dannati schizzinosi!
Quindi ripeti con me: "Il posto fisso è monotono" (prima lezione, ricordi?), "Non fare lo schizzinoso" e accetta una qualsiasi delle migliaia di offerte di lavoro che ti pioveranno addosso anche se non rispecchieranno subito il naturale proseguimento dei tuoi studi, c'è sempre tempo dopo per sceglierne un altro quando ti stuferai.

Ora, scherzi (???) a parte. Quando ho letto le parole del Ministro Fornero oggi sono rimasto fermo a fissare lo schermo alcuni minuti chiedendomi se fosse vero quello che stavo leggendo. Sarà che la questione mi tocca personalmente dato che ultimamente gran parte del mio tempo lo passo a scorrere offerte di lavoro (dai concorsi pubblici al posto di 3 mesi come fattorino, tanto perché sono schizzinoso) cercando su Google Maps il prossimo indirizzo della lista al quale recapitare l'ennesima copia del mio best seller gratuito "Il mio curriculum vitae" che sta raggiungendo oramai tirature bibliche.
Poi però penso a quando a Roma, ma anche più vicini a casa, vedo passare un'auto blu con scorta, penso all'organizzazione, monarchica oserei dire, che si mette in moto ogni qual volta un politico di spicco fa visita a qualsivoglia paese o manifestazione e mi rendo conto di come mai e poi mai questa gente potrà avere il polso della situazione nazionale e mai e poi mai potrà avere la percezione di come viva io o qualsiasi altra persona comune (nel bene e nel male). 

Cito testualmente dalla pagina Wikipedia del Ministro:

"È moglie di Mario Deaglio, Professore Ordinario in economia dell'Università di Torino, con cui ha un figlio di nome Andrea, regista, e una figlia di nome Silvia, Professore Associato in genetica medica presso l'Università di Torino e Responsabile della ricerca alla HuGeF (Istituto di ricerca scientifica fondato dalla Compagnia di San Paolo[6] di cui era vicepresidente Elsa Fornero)".

Ora, senza nulla togliere a lei o alla sua famiglia, ma come può una persona che solo a livello famigliare attuale ha questa situazione mettersi nei panni e poter fare il meglio di un'ipotetica signora Carla la cui vita affettiva può essere raccontata così (non da Wikipedia però):

"E' moglie di Mario Casoni, operaio cassaintegrato Fiat, con cui ha un figlio di nome Andrea, neolaureato in cerca di occupazione, e di una figlia di nome Silvia, laureata in lettere, precaria della scuola in attesa dello sblocco delle classi di concorso e baby sitter part-time in casa del signor Lorenzi (fratello della signora Carla)".


E' abbastanza chiaro che non sia possibile mettersi una nei panni dell'altra saltando così da un universo all'altro. 


In democrazia dovrebbe sempre vincere la maggioranza e proprio la maggioranza dovrebbe essere rappresentata. Chi ha da sempre governato l'Italia (in particolare in questi ultimi vent'anni) non rappresenta che una fetta del tutto minoritaria della società sia per stile di vita che per interessi e obiettivi, quindi non può e non deve essere chiamata in causa per discutere e decidere del futuro di un'intera società.

Fabrizio Ruffini


domenica 7 ottobre 2012

Mar gh'era




Qualche giorno fa sono stato con la mia Vespa (o Star per i puristi) nella zona industriale di Porto Marghera perché era un po' che volevo realizzare un piccolo reportage fotografico sul degrado e l'abbandono di quello che per decenni è stato lo sporco cuore pulsante della famosa "locomotiva del nord-est". Ahimè quello che mi si è presentato davanti è stato esattamente ciò che mi aspettavo: tutta l'area del porto e le ex zone paludose strappate alla natura nei primi anni del '900 per far posto a quell'industria tanto invocata dal potere veneziano, che dovette espandere la propria influenza sulla terra ferma per placare la sua voglia di condotte forzate e ciminiere, si è concessa lentamente tra la nebbia del mattino in tutto il suo squallore non offrendo altro che capannoni smembrati, parcheggi vuoti e ciminiere senza sbuffi.
Ma lo squallore in questo caso, va precisato, non è dato tanto dall'ammasso di ferraglia, cemento, cavi e binari a perdita d'occhio, quanto piuttosto dal fatto che tutto ciò sia li, arrugginito, maltenuto, vuoto e spettrale.

Quando il grande complesso fu inaugurato, infatti, con buona pace dell'ambiente, fu una manna portatrice di lavoro che richiamò nella nuova frazione chiamata Marghera migliaia di famiglie che poterono finalmente coronare il sogno di un salario a fine mese ed una casa vera in cui vivere.
Si dice che il nome Marghera derivi dall'antico modo di dire veneziano Mar gh'era, ossia "il mare c'era, era qui" per via di canali d'acqua marina che arrivavano fino al suo territorio dalla laguna, interrati successivamente per costruire gli edifici. Questo aneddoto penso possa andar bene anche oggi se al posto del mare pensiamo il lavoro. Un lavoro che sembra essere stato anch'esso interrato per sempre, immobilizzato e smembrato da politiche economiche subdole e scriteriate che compiono un imbarazzante calcolo di profitti tra macchinari ed operai e senza alcuno scrupolo decidono di punto in bianco di vendere, dislocare all'est(ero) dove quegli stessi operai valgono ancora meno o semplicemente di chiudere.

Proprio in questi giorni alcuni operai di una delle tante aziende in crisi del polo (la Vinyls, articolo) sono saliti sul campanile di San Marco per protestare contro l'illusione di un salario che non arriva da mesi e le continue prese in giro dei datori di lavoro.
Queste cose oramai le si leggono ovunque tutti i giorni e come sempre si rischia di diventare lettori vaccinati e di passare oltre senza dar troppo peso ai problemi altrui, già pressati come siamo dai nostri. Invito tutti caldamente, però, a farsi un giro in questo tipo di realtà per poter aprire gli occhi e restare basiti difronte a scene che non stonerebbero in un film neorealista del secondo dopoguerra: prostitute minorenni e sempre più di nazionalità italiana, moglie e marito che pescano in un canale pieno di fosfati che passa vicino al petrolchimico come se dall'abboccare di qualcosa dipendesse la loro esistenza (cosa che non stenterei a credere), sciami di lavoratori in attesa del solito giro di caporalato,  immondizia, facce stanche e sfiduciate, brandelli di bandiere di gruppi sindacali che sventolano appesi a cancelli ormai chiusi per sempre.

Questo tour dantesco lo consiglierei soprattutto a chi fissa appuntamenti in hotel di lusso e ristoranti con gli industriali per parlare del futuro delle fabbriche dimenticando di chiedere il parere al fattore umano che in quelle fabbriche lavora e vive, a chi dovrebbe fare da difensore dei diritti dei lavoratori e vigile di imprenditori col vizio dell'espatrio e a chi promette promette e promette e poi fa sgomberare i picchetti dalla celere. A questa gente consiglierei un giretto al mattino di buon'ora a Marghera, ma anche a Taranto, a Genova o a Portovesme in Sardegna e tutti gli altri tumori di un'economia capitalista caduta in disgrazia.

Fabrizio Ruffini


Di seguito alcune foto scattate quella mattina:









 







venerdì 5 ottobre 2012

Se tutto questo non fosse accaduto in Italia




Oggi, 5 ottobre, in Italia si è tornati a parlare di diritti e di scuola. Ahimè  l'interlocutore è stato lo stesso di sempre: il manganello.
Vedere ragazzi minorenni pestati per strada dalle forze dell'ordine dovrebbe fare sempre schifo, al di là di qualsiasi contesto. In Italia, invece, la cosa appare ciclicamente nei telegiornali e sembra essere stata ben metabolizzata da chiunque dato che i commenti lapidari dei giornalisti si limitano alla descrizione nuda e cruda dei fatti. Per questo ho molto apprezzato un testo pubblicato su Facebook dal gruppo "Informare per resistere" che ipotizza come questa stessa notizia sarebbe stata presentata se gli scontri avessero avuto luogo in uno dei paesi considerati soggiogati da un regime dittatoriale come Cuba. Buona lettura!

                                                                                                               Fabrizio Ruffini


Se fosse successo a Cuba, avremmo probabilmente letto:

TG3: Il regime non tollera che i giovani possano liberamente manifestare contro un sistema che offre un’istruzione scadente e riservata solo ai figli dei funzionari del partito comunista. La repressione si è scatenata feroce contro ragazzi inermi, armati solo di speranza e di innocente desiderio di cambiare un sistema moribondo, che di qualitativamente apprezzabile riesce a produrre solo sigari per i ricchi fazenderos dell’isola.

La Repubblica: La crudeltà dei carabineros, arruolati tra le fila dell’esercito popolare della Corea del Nord, non ha lesinato sprangate contro i poveri studenti che chiedevano solo di poter usare almeno le matite per scrivere, stanchi come sono di usare dei fiammiferi usati (peraltro reperibili solo al mercato nero e venduti in valuta pregiata). La famosa blogger cubana Sanchez ha invitato le democrazie occidentali a intervenire per creare
 una no fly zone sopra l’Avana per permettere agli studenti di poter accedere agi istituti.

Giulio Terzi di Sant’Agata: E’ doveroso lanciare un ammonimento, ma sarebbe più convincente una pioggia di missili, al regime del dittatore che si permette di schiacciare nel sangue la legittima protesta del popolo che non chiede altro che democrazia, pace e libertà.

GR1: Non c’è pace in Cina, figuriamoci a Cuba. I reparti speciali della polizia del regime, addestrati già in Tibet per la repressione della primavera araba, hanno brutalmente malmenato gli studenti che protestavano pacificamente per chiedere che venga introdotta almeno una materia d’insegnamento. Fino ad oggi infatti nelle scuole del regime si insegna solo una materia, cioè il marxismo. Secondo un testimone raggiunto dal nostro inviato, i poliziotti pestavano gli studenti cantando in coro Bandiera Rossa, sghignazzando sguaiatamente.