mercoledì 31 marzo 2010

L'editoriale (Parte 2)


Con un giorno di ritardo (ce ne scusiamo) riportiamo il seguito dell'editoriale di Travaglio sul "Fatto Quotidiano" che ha riscosso tanto successo. Buona lettura!

Mentre proseguono a tappeto le ricerche del noto terrorista latino Marco Fabio Quintiliano, latitante da 19 secoli dopo aver ispirato il Partito dell’Odio col suo invito a "odiare i mascalzoni"subito raccolto da Luttazzi e da due giovani grafici di Sky, la Digos ha inferto un altro duro colpo al terrorismo: il sequestro a L’Aquila di ben dieci carriole e la denuncia di un centinaio di terremotati sorpresi nientemeno che a rimuovere macerie dalle strade nel giorno delle elezioni. Il reato ipotizzato a carico dei facinorosi aquilani è la violazione della legge sul silenzio elettorale. L’ha comunicato il promotore della memorabile iniziativa, il prefetto Franco Gabrielli, già direttore del Sisde e amico intimo di Guido Bertolaso: "E’ evidente – ha detto Gabrielli dello smantellamento dei detriti – che si tratta di un evento di tipo politico e quindi, nel giorno del silenzio elettorale, non si poteva consentirne lo svolgimento. Per questo siamo stati costretti a far rispettare la legge con tutti i mezzi a disposizione".

Ben detto: quando ci vuole, ci vuole. Come si può consentire a un gruppo di cittadini, per giunta armati di pale e carriole e visibilmente travisati con mascherine bianche anti-polvere, di scendere in strada per liberarla dalle macerie che l’amico San Guido ha pensato bene di lasciare sul posto a un anno esatto dal terremoto? A furia di vedere quelle carriole, gli italiani avrebbero potuto addirittura dubitare del miracolo della Protezione civile. Non contenti – ha aggiunto Gabrielli, vibrante di sdegno – gli aquilani "hanno tenuto un’assemblea, anch’essa fuorilegge, dove hanno contestato la nostra azione, definendola intimidatoria". E chissà mai quale legge eventualmente scampata al rogo di Calderoli proibisce ai cittadini di riunirsi in assemblea e di definire "intimidatoria" un’iniziativa intimidatoria di un prefetto e della Digos al seguito.

Nelle stesse ore, il presidente del Consiglio violava platealmente per l’ennesima volta il silenzio elettorale, improvvisando il solito comizietto fuorilegge nel suo seggio, invitando a votare per lui e contro Di Pietro. L’aveva già fatto nel 1999, nel 2004 e nel 2006. Intanto i cosiddetti onorevoli Gasparri e La Russa associavano Di Pietro ai terroristi dei pacchi-bomba. Ma nessun prefetto s’è mai sognato di denunciarli per violazione del silenzio elettorale. Così come nessun prefetto è mai intervenuto sui milioni di sms inviati nel 2006 da Palazzo Chigi per invitare gli italiani nel giorno del silenzio, a votare.

Non contento delle 37 leggi ad personam che hanno legalizzato i suoi reati, il ducetto brianzolo ha creato un clima tale per cui le sue illegalità vengono bellamente ignorate dalle forze dell’ordine, mentre condotte assolutamente legittime, come contestare e criticare il governo, vengono criminalizzate e sanzionate senza che alcuna legge le proibisca. L’incredibile trattamento subìto dal vicequestore Genchi, sospeso tre volte in un anno dal capo della Polizia Antonio Manganelli per aver parlato troppo, mentre le decine di poliziotti violenti condannati per le sevizie del G8 di Genova restano tutti al loro posto, e in certi casi vengono addirittura promossi, è un altro segnale inquietante. Sappiamo bene che le forze dell’ordine sono popolate di decine di migliaia di fedeli servitori dello Stato che, malpagati e mortificati da continui tagli di organico e di risorse, seguitano a fare ogni giorno il proprio dovere.

Ma quando gli ordini superiori stridono così clamorosamente con i princìpi di imparzialità e legalità, non resta che un’alternativa: o l’obbedienza a direttive ingiuste (dietro cui si confondono anche le minoranze deviate, ansiose di menare le mani) o l’obiezione di coscienza. Seguitare a far finta di nulla è sbagliato e pericoloso. Quando si manda la polizia a reprimere il dissenso, la democrazia se la passa maluccio. E chi trova normale quanto sta accadendo diventa complice del regime. Possibile che i partiti di opposizione non abbiano nulla da chiedere al ministro dell’Interno e al capo della Polizia?


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martedì 30 marzo 2010

Salary cup e calcio





Compaiono ormai con preoccupante regolarità articoli che descrivono come il mondo del calcio sia ad un passo da una crisi economica senza precedenti.

Se si cercano sulla rete i club che hanno i maggiori debiti appaiono nomi altisonanti, a cominciare dal Manchester United che vanta un debito superiore ai 723 milioni di euro. La squadra ex nonchè vice campione della Champions League (il più importante trofeo continentale) è però in buona compagnia; altre corazzate come il Chelsea del magnate russo Abramovich, il Manchester City dello sceicco Al Mubarak e il Real Madrid hanno debiti per oltre 400 milioni di euro.

Vien da chiedersi quanto di regolare ci sia in tutto questo.

Le campagne faraoniche che vengono intraprese da determinati club europei ogni estate non sbilanciano il corretto funzionamento dei campionati?

Quale comportamento avere con le squadre aventi il bilancio pesantemente in rosso?

Lo sceicco annoiato di turno che decide di comprare una squadra, risanarne i debiti precedenti con le banche e spendere e spandere finchè non trova un passatempo migliore contribuisce a spettacolarizzare di questo sport?


Di certo c'è che viviamo in una società con un'idea completamente sbagliata di sport. Non vi è più onore per il secondo posto, conta solo vincere e per farlo alcuni presidenti sono disposti a tutto (l'ultima campagna acquisti del Real Madrid ne è un esempio). Un campionato o una coppa vinta da una società in ginocchio a causa delle folli spese estive merita di essere festeggiata?

L'equilibrio tra le varie compagini accresce lo spettacolo e un miglioramento della qualità globale del gioco costituisce la vera essenza dello sport: il divertimento.


Il primo modello che viene in mente per portare tale equilibrio è quello utilizzato negli sport americani.

Il concetto è abbastanza semplice e si basa sul salary cup.

Nella sostanza ogni squadra per pagare gli stipendi ai propri giocatori non può superare una determinata cifra, il tetto salariale appunto, che è uguale per tutti. Tale tetto salariale viene imposto dalla Lega anno per anno in base anche se non soprattutto a fattori economici generali e il suo superamento comporta delle sanzioni che in America prendono il nome di luxury tax.

Poniamo ad esempio che il salary cup sia 50 milioni di euro. Con questi 50 milioni di euro il Real Madrid deve riuscire a pagare gli stipendi di tutti i giocatori e non solo dei vari Cristiano Ronaldo, Kakà, Raul, Benzema, Casillas e via dicendo. La violazione del salary cup comporta come detto il pagamento di una luxury tax la quale nel sistema americano prevede che per ogni dollaro con cui si eccede il tetto salariale occorre versarne il doppio alla Lega. Nell'esempio ciò significa che se il Real Madrid necessita di 90 milioni di euro per pagare gli stipendi ai propri giocatori deve versare alla Lega (90-50)*2=80 milioni di euro, con una perdita notevole per le casse della società.

Ad onor del vero va detto che tale modello si applica alla perfezione in un sistema che non prevede ad esempio retrocessioni e dove lo scopo principale è la ricerca dell'equilibrio (si pensi al Draft dove i giovani con maggiori prospettive che escono dal college vanno alle squadre con i record peggiori).

Dall'altra parte dell'oceano inoltre si usa la formula dello scambio dei contratti dei giocatori (la cosiddetta trade) appunto per non permettere al proprietario non curante della luxury tax di avere i giocatori migliori.

Sempre tornando all'esempio del Real Madrid il trasferimento di Cristiano Ronaldo dal Manchester United alla squadra spagnola utilizzando la formula americana non potrebbe avvenire per 93 milioni di euro. Se lo stipendio di Cristiano Ronaldo è di 10 milioni di euro affinchè avvenga lo scambio occorre che il Manchester acquisisca uno o più contratti dal Real Madrid per un totale che si avvicini ai 10 milioni percepiti dal portoghese. In pratica non si può vendere per risanare il bilancio a meno che una squadra non sia gia sotto il salary cup e in quel caso puo acquistare direttamente il contratto del giocatore senza dover riequilibrare il tutto (una sorta di premio per chi rispetta il tetto).

La presenza di numerose regole rende tale sistema complesso e sicuramente non esente da difetti ma una riforma che tenga conto di alcuni aspetti del salary cup americano combinato ad esempio con l'obbligo di utilizzare i vivai può essere un primo significativo passo verso il cambiamento.


Umberto Simola

lunedì 29 marzo 2010

Guardando meglio...

Di solito su questo blog vengono inseriti dei piccoli editoriali, questa volta però penso sia molto interessante segnalarvi quello che abbiamo scoperto in merito ad una foto apparsa il 29/03/2010 sul Corriere del Veneto.
La foto in questione è uno delle solite fototessere con cui si rappresentano i candidati alle elezioni (in questo caso quelle regionali). Il candidato in questione è Caratossidis, che si presenta per Forza Nuova in Veneto.

Ecco la foto sul giornale:





Ora, siamo arrivati ad avere la foto completa e non solo il quadratino che ritrae il volto del candidato, e ( sorpresa delle sorprese) ecco come si mostrava il nostro uomo al momento dello scatto:



A voi gli eventuali commeni alla luce del fatto che durante una sua intervista lo stesso Caratossidis ha preso le distanze dalle insinuazioni di neofascismo che gli erano state rivolte. Qualcuno ha detto apologia?

Fabrizio Ruffini







La domanda da tre milioni di dollari è: chi guiderà ora la battaglia sul clima?

Questa settimana i leader politici e le imprese si riuniscono nel tentativo di rinnovare l’incerta sfida del mondo sul riscaldamento globale. Ma si trovano di fronte la battaglia per risollevare la nube di scetticismo che è calata sugli studi climatici e per proporre una nuova prospettiva.

Alcuni dei più facoltosi finanziatori del pianeta si riuniranno a Londra mercoledì per discutere del fastidioso problema economico: come raccogliere un trilione di dollari per lo sviluppo mondiale. Tra gli incaricati di raggiungere questo obbiettivo scoraggiante ci sarà anche Gordon Brown, le amministrazioni di diverse banche centrali, il filantropo miliardario George Soros, l’economista Lord (Nicholas) Stern e Larry Summers, il principale consulente economico del Presidente Obama.

Come schieramento di esperti è formidabile: ma allora lo è anche l’obbiettivo prefissato dal segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. Effettivamente, i più grandi finanzieri del mondo sono stati chiamati per escogitare un sistema per raccogliere almeno 100 miliardi di dollari in un anno per i prossimi decenni, denaro che sarà utilizzato per aiutare i paesi più poveri del pianeta ad adattarsi ai cambiamenti climatici.

“I prezzi che paghiamo per le nostre merci non riflette una chiave di costi: il danno che fa la loro produzione sul sistema climatico planetario”, ha detto Bob Ward, dell’istituto di Ricerca Grantham sul cambiamento climatico presso la LSE (London School of Economics and Political Science). “Abbiamo bisogno di trovare un modo per ricavare un profitto da quelli che provocano il danno e poi usano quei soldi per finanziare lo sviluppo delle nazioni così da poter proteggersi dai peggiori effetti del riscaldamento globale.

E per aumentare i fondi del gruppo consultivo di finanziamento sul cambiamento climatico ha dichiarato che prederà in considerazione ogni cosa –ponendo imposte sul trasporto aereo e marittimo internazionale, sui mercati del carbonio in espansione, con l’introduzione di tasse anche sulle transazioni finanziarie, e con l’utilizzo della speciale valuta di riserva del Fondo Monetario Internazionale. […] “La finanza è un prerequisito per un accordo sul clima”, ha dichiarato venerdì Rajendra Pachauri, presidente del gruppo intergovernativo nell’ONU sui cambiamenti climatici. “I paesi in via di sviluppo sono molto sensibili verso questo problema. Le trattative falliranno senza un sicuro e consistente finanziamento in atto”.

Suona familiare, e così dovrebbe essere: queste nuove discussioni segno di un nuovo interesse per il clima, dopo che si è concluso solo tre mesi fa a Copenhagen il summit delle Nazioni Unite, che non è stato in grado di raggiungere una trattativa per controllare le emissioni di diossido di carbonio. […] “Viviamo in un mondo nel caos più totale. Gli Stati Uniti stanno ridendo, ma non c’è alcuna certezza che i paesi ricchi non vogliano tagliarla fuori e andare avanti da soli in questa battaglia. È il caos” ha detto Martin Kohr, direttore del centro sud, portavoce dell’organizzazione inter-governativa dei paesi in via di sviluppo con sede a Ginevra. Si tratta di uno scenario deprimente per le nuove trattative di mercoledì a Londra, ma non significa che tutto è perduto. “Se gli Stati Uniti si impegnano a limitare le proprie emissioni solo di poco, questo sarebbe un enorme miglioramento rispetto alla posizione presa dall’America in precedenza”, ha dichiarato l’istituto di ricerca Grantham. "E anche se può sembrare scoraggiante parlare di raccogliere un trilione di dollari per le nazioni in via di sviluppo, dobbiamo notare che ciò rappresenta un investimento che è di gran lunga inferiore a quello che è stato necessario per salvare il sistema finanziario mondiale nel 2008”.[…]

The Guardian, traduzione: Giulia Pradella

LINK ALL’ ARTICOLO

http://www.guardian.co.uk/environment/2010/mar/28/un-climate-change-meeting-london

domenica 28 marzo 2010

L'era di Googocracy


Grant Neufeld/flickr/Creative Commons

Cosa resta quando il solo potere che sta dalla parte della democrazia nel paese più dittatoriale al mondo è una compagnia digitale? Ma Googomocracy naturalmente.
Non mi sto lamentando qui, effettivamente, sono davvero contento della presa di posizione presa da Google sulla censura in Cina, ma non è scoraggiante che finora nessuno dei poteri più influenti al mondo abbiano avuto la forza d’animo per levarsi contro la follia oligarchica di questo paese?
Voglio dire che questo è un paese in cui le persone vengono mandate al patibolo per delle violazioni che nei nostri paesi sono considerati ridicoli, e in alcuni casi – come la corruzione in Italia – sono stati anche depenalizzati. E non solo questo, ma oltre tutto costringono la famiglia del defunto a pagare i proiettili utilizzati durante l’esecuzione, mentre i medici che lavorano per lo Stato prendono dalla vittima gli organi per venderli a caro prezzo ai compratori occidentali. Questo è il paese di Tiananmen, il paese che ha perseguitato i genitori dei bambini morti durante il terremoto di Sichuan – immaginate bambini sepolti sotto le macerie delle scuole mal progettate da dei costruittori disonesti con l’aiuto “inconsapevole” dei leader dei partiti locali che erano stati convinti con enormi tangenti. Questo è anche il paese che reprime ogni intrusione straniera nei suoi affari interni ma che non ha mai esitato a punire un governo straniero che osa mettere in dubbio le sue iniziative in Sudan, Congo, Tanzania e Nigeria.
Questo è anche un paese che – grazie ad una folle riappacificazione economica con l’occidente – è stata capace di negoziare il suo modo di diventare – molto rapidamente – la maggior potenza economica mondiale basata sulla forza delle manipolazioni monetarie. Mi auguro solo che il Congresso americano e le amministrazioni europee abbiano lo stesso coraggio senza compromessi mostrato dai dirigenti della Google che sono disposti a mettere l’interesse economico della propria azienda sulla stessa linea per la libertà e i diritti umani. Un’alzata di cappello va in particolare a Sergey Brin, che molto coerentemente, dopo aver promesso anni fa, che Google non avrebbe lasciato niente alla Cina in materia di democrazia e diritti umani, e che non avrebbe guidato la sua azienda in modo tale da diventare complice nel silenzio e nella violazione dei più basilari diritti umani. Naturalmente ne basta uno per conoscerli tutti, la famiglia Brin ha già avuto la sua repressione, prima sotto il dominio sovietico. Ora ovviamente la Cina è vendicativa.
Infatti è già successo che, un giorno dopo che l’annuncio di Google che aveva fatto il giro della Cina e attraversato Hong-Kong, moti dei suoi principali partner locali hanno troncato i legami con la Mountain View Company.
Vediamo se qualcuno ha il coraggio di resistere a questa enorme violazione delle libere professioni.

traduzione: Giulia Pradella
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L'editoriale (Parte 1)



Questa mattina leggendo "Il Fatto Quotidiano" sono restato molto colpito dall'editoriale di Marco Travaglio, come sempre tanto ironico quanto triste, che qui sotto vi riporto. Buona lettura!

Ultime notizie dalla celebre democrazia del Bananistan. Venerdì pomeriggio, l’altroieri, Sua Eccellenza il Presidente del Consiglio è atteso per le 14.30 negli studi di Sky, sulla via Salaria a Roma, per una lunga intervista in diretta a SkyTg24. Per strada, il solito spiegamento di uomini armati fino ai denti. Il corteo presidenziale, sobriamente formato da un furgoncino blindato, da tre auto e da una pattuglia motorizzata di carabinieri, attraversa il piazzale del palazzo murdochiano. Anche la vigilanza interna è mobilitata, casomai alle dipendenze del noto magnate bolscevico australiano si annidassero cellule sovversive. Infatti ne viene subito scoperta una, nel reparto grafici: sull’ampia vetrata dei loro uffici campeggia in bella (si fa per dire) vista un foglio bianco formato A4 (21 x 29 centimetri su una superficie di 4 metri per 4) con una scritta inequivocabile: una citazione dell’ultimo iscritto al Partito dell’Odio, tale Marco Fabio Quintiliano, classe 35 d.C., nativo di Calagurris Iulia Nasica (Spagna), che dai primi accertamenti non risulta schedato. La scritta recita testualmente (ci scusiamo con i minori eventualmente in lettura): “Odiare i mascalzoni è cosa nobile”. Trattasi della citazione recitata da un altro facinoroso, il noto Daniele Luttazzi, la sera precedente nella radunata sediziosa del Paladozza a Bologna. Alla parola “mascalzone”, il pensiero dei vigilantes corre immediatamente al premier. Pronta e scattante come non mai, la security Sky allerta la scorta presidenziale. Ed ecco due nerboruti agenti della Digos materializzarsi sul luogo del delitto. Sbarrano tutte le finestre che s’affacciano sul cortile, onde evitare sguardi indiscreti. Piombano dinanzi alla vetrata. Leggono la parola “mascalzone” e, anche per loro, l’associazione d’idee col presidente del Consiglio è automatica. Sequestrano il corpo del reato (il foglio A4 con l’orrenda scritta). Poi uno dei due, il più sveglio, si dirige verso il computer principale dell’ufficio, vi prende posto con fare minaccioso e inizia ad armeggiare sulla tastiera.
Ma è ben presto costretto ad arrendersi dinanzi a un oggetto misterioso che inopinatamente sostituisce il tradizionale mouse: si chiama “tavoletta grafica”. Ai primi sintomi di un’ernia al cervello, l’agente intima a una ragazza seduta lì vicino di stampargli i file aperti di recente, nella certezza di smascherare immantinente gli autori del vile attentato cartaceo. Ma invano. Anche perché i due principali sospettati – peraltro rei confessi, in concorso con il Quintiliano di cui sopra - sono già stati tradotti all'ingresso dell’edificio. Qui altri agenti in assetto antisommossa chiedono loro i documenti per procedere all’identificazione e scortarli in questura. Soltanto il pronto intervento di un rappresentante legale dell’emittente ne scongiura il fermo.
Ma la denuncia è scontata, il reato si troverà. Segue mail ufficiale dell’ufficio Risorse Umane dell’azienda, che rammenta a tutti i dipendenti quanto segue: “E’ legittimo avere opinioni politiche di qualunque tipo, ma non fare esternazioni nei relativi spazi”. Voci di corridoio giurano di aver udito gli agenti della Digos commentare che quanti lavorano a Sky sono tutti comunisti, come del resto il loro editore Murdoch, noto amico di Bush. Questa volta, contrariamente a quanto accaduto in occasione dei lanci di cavalletti e souvenir, la sicurezza presidenziale ha funzionato con perfetta efficienza e l’incolumità del premier è salva. Provvede poi lui a farsi del male da solo nell’intervista in studio, con le consuete litanie sul partito dell’amore e sul comunismo alle porte che mettono in fuga gli eventuali telespettatori all’ascolto, totalizzando alla fine un formidabile 0,3% di share (contro 2.5% di Raiperunanotte soltanto su Sky). Proseguono intanto, con posti di blocco e unità cinofile, le ricerche del capocellula, il succitato Quintiliano, resosi irreperibile.

giovedì 25 marzo 2010

L'accordo sul nucleare tra Usa e Russia



Gli Stati Uniti e la Russia sono sul punto di trovare la chiave per un trattato sulle armi nucleari, il Presidente Obama ha fatto presente che la sua Amministrazione si è focalizzata nuovamente sulla politica estera in seguito alla violenta battaglia sulla riforma sanitaria. Un funzionario del Cremlino, parlando sotto anonimato, ha dichiarato che la notte scorsa le due parti si erano accordate su “tutti i documenti” per un nuovo accordo riguardo la riduzione dei loro arsenali atomici, rinnovando lo storico trattato del 1991 sulla riduzione strategica delle armi, chiamato Start (Strategic Arms Reduction Treaty). La Repubblica Ceca ha annunciato un incontro tra il Presidente Obama e il Presidente Medvedev, organizzato a Praga per la firma del trattato, accrescendo le speranze di un accordo entro Pasqua. I funzionari americani erano più cauti, dichiarando che l’incontro era “vicino, ma non ancora giunto ad una conclusione”. Robert Gibbs, segretario stampa della Casa Bianca, ha detto che Obama e Medvedev devono ancora discutere e concludere la formulazione del trattato. “Ma siamo molto vicini ad un accordo” ha detto ed ha poi aggiunto: “Vorrei anticipare che quando avremo qualcosa da firmare sarà a Praga”. Ieri il Presidente Obama ha trascorso più di un’ora alla Casa Bianca dando istruzioni al senatore John Kerry, Presidente Democratico dei rapporti con l’estero nel Senato, ed il Senatore Richard Lugar, del comitato Repubblicano. Entrambi vorrebbero giocare il ruolo più importante nella ratifica americana del trattato.

Un nuovo trattato Start sarebbe un trionfo per la diplomazia americana e per Hilary Clinton, segretario di Stato, che la settimana scorsa ha visitato Mosca per parlare del Medio Oriente e di un nuovo accordo strategico sulle armi.

Due alti funzionari degli Stati Uniti hanno dichiarato che ci sono ancora problemi tecnici da risolvere per un annesso al principale trattato, ma hanno previsto che non ci sono ostacoli per portare a termine l’accordo entro un paio di giorni. Mikhail Margelov, il Presidente della commissione per gli affari esteri della Camera del Parlamento Russo, ha dichiarato che “un compromesso politico” è stato raggiunto sul legame nel trattato tra la difesa missilistica e la riduzione delle testate nucleari. Gli Stati Uniti hanno spinto per questo difficile accordo, il 12 Aprile il Presidente ospiterà un vertice sul nucleare a Washington. La scelta di Praga è simbolica in quanto l’anno scorso è stata sede dell’intervento di Obama, in cui aveva delineato la sua ambizione di creare “un mondo senza armi nucleari”. Il nuovo trattato di 20 pagine sarebbe un passo verso quest’obbiettivo, impegnando entrambe le parti a tagliare le scorte di testate tra 1,500 e 1,675 ciascuno entro sette anni e riducendo il numero dei missili a raggio lungo ad un massimo di 1,100. Oggi gli Stati Uniti hanno 2,200 testate operative e la Russia 2,790. Questa settimana ha portato fortune alterne al Presidente Obama. La sua controversa riforma sanitaria è stata approvata dopo un’aspra battaglia, ma i rapporti con Israele sono un po’ in una fase di stallo sulla questione dei nuovi insediamenti, e la visita fatta dal Primo Ministro israeliano, Binyamin Netanyahu, si è conclusa con degli incontri freddi. Il rinnovo dello Start potrebbe essere per Obama il primo successo significativo nella politica estera ed un grande colpo per la sua presidenza. Potrà anche aumentare gli sforzi Americani per frenare le ambizioni nucleari dell’Iran – argomento sul quale Mosca sembra molto più a sostegno degli Stati Uniti.

The Times Online, traduzione: Giulia Pradella

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http://www.timesonline.co.uk/tol/news/world/us_and_americas/article7074897.ece

martedì 23 marzo 2010

La campagna elettorale ha ancora diritto d’esistere?



Mi rendo conto che l’argomento non è dei più facili da affrontare e sicuramente andrà incontro a molte critiche, ma penso che dovremmo interrogarci sulla reale opportunità d’esistenza di quell’immane dispendio di denaro ed energia (sia attive che passive) che alla vigilia di ogni elezione vediamo prendere vita sui manifesti, nei comizi o sui volantini che da ogni parte ci piovono addosso.

Il punto non è solamente lo sperpero di denaro o il bombardamento comunicativo che noi tutti siamo costretti a sopportare, ma un vizio di forma intrinseco dell’intero meccanismo.

Se c’è bisogno di una così imponente macchina elettorale si sa bene che, paradossalmente, a decidere le elezioni saranno i cosiddetti “indecisi” piuttosto che i “decisi”.

Questo, come è facile immaginare, penalizza soprattutto chi cerca di tenersi informato sul mondo politico e si crea una propria opinione che poi andrà ad esprimere attraverso il voto, di qualsiasi colore politico esso sia.

L’importante è avere elettori consci del ruolo fondamentale che nei, di solito, due giorni elettorali vanno a ricoprire all’interno del proprio stato e della propria società.

Se non abbiamo questo, non abbiamo nemmeno un popolo sano, non abbiamo una classe dirigente eletta per sincero volere dei cittadini e la democrazia si riduce a un termine buono soltanto per nascondere guerre o gonfiarsi la bocca nel paragonarsi ad altre nazioni.

Il voto è diventato una via di mezzo fra un lusso di cui non ci ricordiamo – e quindi non onoriamo - nemmeno l’origine e una scusa per fare due passi verso le urne la domenica.

Possibile che i cittadini di un paese che si considera moderno e civilizzato vogliano essere trattati come un gregge da dirigere periodicamente verso uno o l’altro macello?

Ricordo che mi fece molta impressione una cosa che vidi in Francia: era il periodo delle elezioni Europee del 2009 e man mano che passavamo in macchina i vari paesini, come i centri più grossi, c’erano in media 5/6 manifesti elettorali: sempre quelli, nello stesso ordine. Non c’erano squinzie col berrettino con volantini coloratissimi, non c’erano manifesti versione Godzilla su muri, camper, dirigibili ecc.. non c’era nulla; solo un manifesto per partito con il nome del candidato, il simbolo di partito e uno slogan. Come dire: «Questi sono quelli che si presentano, scegli TU».

Vabbè, non dimentichiamoci che i Francesi sono quelli che hanno votato Chirac quando arrivò al ballottaggio con Le Pen nel 2002, e lo contestarono subito dopo per fargli capire che lo avevano votato solo perché non volevano assolutamente un presidente nostalgico dei trascorsi fascisti nella collaborazionista Francia di Vichy. Insomma gente che si interessa della persone che devono poi governarla e che quindi si informa prima di andare a votare.

Per tornare al Bel Paese, dire che gli elettori sanno ciò che stanno facendo mettendo la “X” su una scheda di cartone chiusi dentro un baracchino, penso sia un po’ troppo romantico. Quindi che fare?

Nacque proprio da quel viaggio in Francia l’idea, un po’ provocatoria un po’ no, di istituire un “patentino del votante”.

Per averlo sarebbe sufficiente sostenere un piccolo esame di storia (almeno dell’ultimo secolo) ed educazione civica (cosa che fa abbastanza ridere oggi come proposta dato che la materia in questione viene tolta da quasi tutti gli istituti).

Penso che una cosa simile già scremerebbe un’ottima fetta di “votanti della domenica” che da sempre scelgono per tutti senza rendersene conto.

Perché continuare a farci portare tutti da una mandria di gonzi quando c’è gente che davvero si interessa alla politica e vorrebbe che ciò che pensa fosse rappresentato nel proprio governo per una volta?

Facendo una pesa di vantaggi e svantaggi penso che la risposta sia più che ovvia, ma forse un sistema in cui il cittadino vota ciò che pensa e sa difendere la sua idea di voto si veramente riservato ai paesi moderni e civilizzati.

Fabrizio Ruffini

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mercoledì 17 marzo 2010

L'uso Orwelliano della Storia

L’uso pubblico della storia non è un fenomeno che nasce nel mondo contemporaneo, anzi si può dire appaia nel momento stesso in cui si ragiona su tematiche storiche. L’argomento sembra però assumere una gravità e una importanza rinnovata proprio nell’oggi, nel momento in cui l’uso pubblico della storia interviene in modo attivo nel dibattito pubblico per definire un nuovo senso comune civile. Peccato che nei Mass Media, assistiamo quotidianamente ad una vera e propria violenza nei confronti della Storia, con narrazioni e interpretazioni che spesso sfiorano la disinformazione. Vittima di sé stessa, Clio viene puntualmente tirata per la giacchetta dalle singole forze politiche, che cercano di modificare il passato a proprio vantaggio nel tentativo di legittimarsi nel presente.

Cassa di risonanza di queste vere e proprie guerre della memoria sono i giornali, dove, accanto a giornalisti storici seri, vedono la loro comparsa dei mestieranti ambigui, spesso colti da servilismo acuto verso il padrone di turno, dove la storia viene trattata come scoop, come ricerca della novità ad ogni costo. Questi signori, vestiti i panni di novelli profeti di verità, cercano di costruire un loro discorso storico nel tentativo di far passare un messaggio revisionistico molto pericoloso e inquietante. Tutti voi avrete presente la violenta campagna mediatica, che trova posto sulla carta stampata e in tv, contro la memoria storica della Resistenza e della costituzione repubblicana. Riassumiamo brevemente: questi autori revisionisti affermano che il senso di eventi quali il fascismo, la resistenza, la storia repubblicana siano stati imbrigliati all’interno di una vulgata, ovvero di un sistema di potere culturale in cui un elite intellettuale (leggasi storici accademici) costruisce un’immagine mitica di questi fatti storici. Loro invece, giornalisti storici dal cuore impavido, sarebbero coloro che svelano la coltre d’inganno di questa vulgata, offrendo col loro lavoro squarci di verità.

Un ottimo esempio è costituito dalla storia personale di Giampaolo Pansa. In origine ottimo storico di professione, ad un certo punto decide di dedicarsi al mondo giornalistico e letterario, scrivendo saggi divulgativi e romanzi. Negli ultimi anni cerca di far luce sugli aspetti più bui della Repubblica: un lavoro però ripetitivo, già affrontato da altri storici accademici prima di lui, che dunque non produce delle vere novità nell’ambito della ricerca scientifica. Eppure i suoi articoli riescono a diventare dei casi editoriali: vengono giudicati dai mass media come lavori rivoluzionari, capaci di spaccare il muro di omertà costruito dal discorso storico accademico. In realtà i libri di Pansa si inseriscono in un progetto molto più generale di delegittimazione dei fondamenti identitari della Repubblica, nel tentativo di usare la storia come arma politica. La speranza è che la società civile sviluppi quegli anticorpi critici necessari per smascherare questo uso orwelliano della storia che ormai sembra essere diventato un virus pericolosissimo.

Federico Giona

sabato 13 marzo 2010

Tutti uguali? Basta!

E’ uno dei luoghi comuni più diffusi degli ultimi anni, ma cosa vuol dire precisamente essere un antipolitico?

Spesso il sentimento di rifiuto della politica (soprattutto di quella recente) è ricondotto al movimento imbastito da Grillo o ai vari movimenti che non hanno altro obbiettivo se non l’antiberlusconismo.

Purtroppo, invece, è più plausibile far risalire questo tipo di pensiero alla poca informazione e ad un certo rifiuto preconcetto verso una politica che, proprio per il disinteresse dei cittadini ha avuto carta bianca per compiere le più immani, passatemi il termine, “porcate” che il nostro paese abbia mai visto.

Un serpente che si mode la coda quindi? Direi proprio di si; abbiamo una politica egoista ed attenta ai bisogni dei “prescelti” proprio perché i comuni cittadini non hanno alzato la voce quando era ora, ma anzi si sono bevuti tutta la rassicurante favola della nascente “Berluscoland”.

Se la classe politica di oggi è composta da mafiosi, corrotti o smidollati (e le future, paradossalmente, potrebbero essere anche peggiori) è perché i valori della politica si sono avvicinati sempre più a quelli del marketing e dell’economia. Quando Berlusconi nel ’94 si presentò dicendo che avrebbe condotto l’Italia come una delle sue aziende diceva il vero, e tutti hanno preso questa affermazione come una cosa positiva; vi ricordate qual era il ragionamento più diffuso? “Se è diventato un imprenditore di successo vuol dire che le sue aziende le gestisce bene, quindi se gestisce l’Italia così dovrebbe funzionare”. Niente di più stupido e controproducente.

In realtà Berlusconi diceva il vero perché un imprenditore per avere successo deve fare il più possibile i propri affari, e farli soprattutto a discapito dei concorrenti; ecco spiegato perché il Paese ora è più simile ad una compagine di Fininvest piuttosto che ad uno stato libero, e il parlamento sembra sempre più una segreteria di partito con, ahimè, poteri ben maggiori.

Gli italiani, e neppure la maggioranza a quanto pare, ci hanno messo però quindici anni per cominciare a comprendere le insidie che si celavano dietro a quell’affermazione ed ora, con l’antipolitica, si rischia di perdere definitivamente il contatto con ciò che in assoluto riguarda più da vicino la nostra vita e la vita di chi condivide la nostra nazionalità.

All’inizio di questo articolo si è parlato di Grillo: bene, anche Grillo pare aver capito che l’antipolitica oltre a non portare da nessuna parte è molto pericolosa e spesso controproducente, per questo sono nati i movimenti “5 stelle” da lui patrocinati, e la cosa è più che giusta, se non ci si ritrova in qualche corrente politica bisogna cercarne una propria, difendere le proprie idee e combattere piuttosto che chiudersi e lasciar fare agli altri, cosa che, come visto, favorisce un solo tipo di politici. Vivere nell’ignoranza in senso etimologico, cioè ignorando ciò che gli altri decidono per noi, è come salire su di un taxi e dire all’autista di portarvi dove preferisce, sia esso una persona seria o uno squilibrato.

Non importa dunque in cosa si crede e cosa si vota, ma bisogna farlo coscientemente e dopo una buona informazione. Dire che tutti i politici sono uguali tradisce una profonda disattenzione verso i propri interessi ed il mondo in cui si vive.

Fabrizio Ruffini

venerdì 12 marzo 2010

L'assalto all'EXPO 2015


Quando ci si trova all’inaugurazione di un grande edificio pubblico, di un monumento o di un nuovo supermercato, ciò che resta più impresso nella mente sono la gioia collettiva, la perfezione dell’organizzazione e la festa che accompagna l’evento. Difficilmente ci si ferma a pensare a cosa ci sia stato dietro quell’apertura, chi ci abbia messo i soldi e come verranno divisi i guadagni.

Questa tecnica del far vedere sempre e solo il lato positivo di un’opera è una delle più grandi specialità di Berlusconi; esempio lampante è il ponte sullo stretto di Messina o, più recentemente, l’EXPO 2015 che si terrà a Milano.

E’ di oggi la notizia che il Premier, quasi come una sorta di presa per i fondelli di chi, questa mattina, era in piazza a manifestare per il proprio posto di lavoro o per le condizioni in cui versa la scuola pubblica, ha annunciato di aver trovato i fondi per finanziare l’EXPO e che i lavori potranno quindi cominciare senza intoppi. Notizia tanto bella quanto superficiale.

Molti ignorano che dietro agli appalti per la costruzione della grande esposizione universale sia in atto una bagarre politico/economica non di poco contro tra gli stessi partiti di maggioranza e l’elite imprenditoriale milanese.

Ancor più grave è che, oltre agli scontri fra soggetti legali, si inserisce anche un terzo personaggio pronto a dare battaglia per godere il più possibile del lauto banchetto imbandito per questo megacantiere: la Mafia.

In particolare i gruppi più attivi nel milanese sono riconducibili alla ‘ndrangheta, che in quella zona ha da oltre trent’anni lo zampino in quasi tutti i cantieri più importanti, come emerso dalle decine d’indagini svolte negli anni, tra cui quella riguardante l’autostrada Milano-Brescia e i lavori di costruzione della linea ferroviaria veloce (TAV).

Sull’infiltrazione mafiosa nel cantiere dell’ EXPO milanese è stata aperta anche un’inchiesta conclusasi prematuramente per una fuga di notizie che non ha reso possibile la continuazione delle indagini; rimane ora da vedere se i soldi promessi oggi da Berlusconi ci sono veramente o no, e se la magistratura potrà intervenire nuovamente per supervisionare gli appalti milionari e la chiara e corretta prosecuzione dei lavori.

Fabrizio Ruffini

giovedì 11 marzo 2010

Rinaldini: «Lo sciopero generale di domani è la prima tappa di una mobilitazione destinata a durare»

Intervista a Gianni Rinaldini, segretario generale Fiom

Per il 20 marzo, giorno della manifestazione annunciata dal Pdl, era già in programma a Roma l’assemblea nazionale della “mozione due”, “La Cgil che vogliamo”. Gianni Rinaldini, segretario generale Fiom, apprende la notizia tra un congresso e l’altro (ieri a Firenze). «Adesso vedremo il da farsi», dice al telefono, nel corso dell’intervista a Liberazione. Sono giorni duri per chi fa il mestiere del sindacalista. Da una parte il congresso della Cgil, dall’altra gli attacchi del governo all’articolo 18 attraverso il “Collegato Lavoro”. Ed ora, come se non bastasse, il caos del “salva-liste”, a cui tutto il mondo sindacale vuole rispondere.

Da una parte la Cgil non dà risposte a “La Cgil che vogliamo” per quanto riguarda il percorso congressuale, dall’altra Guglielmo Epifani si è impegnato ad allargare i temi dello sciopero di venerdì 12 marzo alla protesta contro l’attacco all’articolo 18. Che idea ti sei fatto?
Le due cose non sono in relazione. Lo sciopero del 12 marzo è uno sciopero importante. E’ evidente che con quello che è successo sull’articolo 18 la giornata di mobilitazione non poteva non assumere quelle caratteristiche. Ma, voglio aggiungere, questa tappa non è che la prima di un percorso più lungo. Anche perché la posta in palio ha uno spessore di tutto rispetto. C’è da fare i conti con le scelte del governo su lavoro dipendente e anche sulla precarietà. In pratica, il governo sta mettendo in atto la destrutturazione di tutte le forme di tutela del mondo del lavoro. E’ a questo che va data una risposta. Stiamo andando verso una precarizzazione di massa del lavoro. Da qui il rifiuto da parte dell’opposizione sull’articolo 18 e il rilancio di una iniziativa complessiva sui diritti.

Visto da questa ottica, e considerando la contemporaneità degli eventi, il congresso della Cgil avrà una agenda completamente rivisitata.
Inevitabilmente questi temi attraverseranno la discussione nel congresso Cgil. E’ evidente che sia così di fronte alla completa ridefinizione dei rapporti di forza. Non si può far finta che tutto questo non stia accadendo. Il governo sta utilizzando la crisi per ridisegnare l’assetto sociale del Paese.

Se c’era qualcuno che pensava di riprendere in mano la tessitura dei rapporti unitari a questo punto dovrà rifare i suoi conti, o no?
Mi sembra evidente che la ricomposizione dei rapporti unitari non è all’orizzonte di questa fase. Mi domando cosa debba succedere di più per convincersene. Si è di fronte a un processo che non si può far finta di non vedere.

Se si vanno a rileggere i documenti della Fiom, e lo stesso documento della “Mozione due”, tutti questi fatti sono scritti con estrema chiarezza e una certa capacità di previsione. Perché a questo non è corrisposto un peso adeguato nelle assemblee congressuali?
Parlo della Fiom, dove quelle analisi e le conclusioni sono state votate a grande maggioranza. La linea quindi è sostenuta dai metalmeccanici. E’ chiaro che ci sono elementi di dialettica in quell’analisi che non si esauriscono nel confronto tra le due mozioni. Nel senso che viene prefigurato uno scenario con il quale tutti saremo chiamati a fare i conti. Il ministro Sacconi ha detto che ha realizzato il 10% del programma sul lavoro e che dopo le elezioni procederà sul resto. E’ chiaro che mira allo smantellamento dello Statuto dei lavoratori.

Ancora una domanda sul congresso. Che farete con la certificazione?
La certificazione dei dati apre un problema rispetto al funzionamento delle regole interne della Cgil. Al congresso nazionale bisognerà discuterne. Se le due mozioni sono state presentate congiuntamente solo nella metà dei congressi di base, c’è un problema o no? Basta questo per sollevare la questione.

Sacconi ha detto che non ci pensa proprio ad allungare la cassa integrazione.
Sacconi fa una affermazione sbagliata che rivela un atteggiamento teso a una gestione politica della

www.liberazione.it

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martedì 9 marzo 2010

Giovani italiani: intolleranti e xenofobi

Quasi la metà dei giovani italiani sono intolleranti verso gli stranieri o del tutto xenofobi.
Il presidente della Camera, allarmato dai risultati di un recente sondaggio, ha invitato la classe politica ad elaborare “un modello d’ntegrazione italiano”.
Il sondaggio, effettuato dall’istituto SWG su 2000 giovani tra i 18 ed i 29 anni, mostra che il 45,8% di loro esprimono una forma di ostilità verso gli stranieri o direttamente xenofobia, mentre solo il 39,6% si dice “aperto” nei confronti delle differenti culture.
Tra i giovani definiti “chiusi”, l’SWG distingue tre gruppi: il 15,3% esprime soprattutto una “fobia verso rumeni-zingari-albanesi” e in maggioranza è composto da donne (56%); il 10,7%, il gruppo più piccolo ma più estremista, riunisce comportamenti apertamente razzisti; il restante 20% raccoglie gli “xenofobi”, che escludono di ricorrere alla violenza ma si augurano che gli stranieri vivano lontano da loro, preferibilmente fuori dall’Italia.
Reagendo al sondaggio SWG, il presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini, ha invitato i suoi colleghi ad immaginare un modello di integrazione all’italiana e si è mostrato scettico sul sistema francese di “assimilazione e dunque di sradicamento totale, per il quale tu sei francese, italiano o tedesco solo se parli la tua lingua e hai un identità nazionale”.
Il sondaggio sottolinea, sulla base di una scala di apprezzamento qualitativa, che i giovani italiani dicono di preferire cenare nell’ordine: con una persona in difficoltà economica, un ebreo, un omosessuale e uno straniero non europeo. Sono più “freddi” quando si tratta di mangiare con un musulmano. Ed escludono di cenare con un rom, di averli per vicini e peggio ancora che loro figlio o figlia viva con uno di loro.
Il profilo del giovane apertamente razzista sottolinea secondo le stime “un bisogno di potenza, attitudine apertamente omofoba, spinte antisemite, convinzione che le donne siano inferiori e soprattutto rifiuto di tutto ciò che è diverso”.
Secondo un altro studio di SWG più di un migliaio di gruppi xenofobi esistono sul social network Facebook, di cui un centinaio anti-musulmani, 350 anti-immigrati, 300 anti-zingari e 400 contro i meridionali, e questo solo in Italia.

Les Échos [FR]
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Una piccola modifica all'alimentazione e l' RSA va in frantumi

Tre ricercatori della University of Michigan hanno scoperto che un piccolo intervento sull'alimentazione di un PC permette di violare il sistema di cifratura più diffuso nel mondo. Domani durante la conferenza DATE (Design, Automation and TEst) di Dresda sarà svelato tutto, probabilmente anche la soluzione.
Il sistema di cifratura più diffuso nel mondo, ovvero basato su algoritmo RSA, è facilmente violabile. Tre ricercatori della University of Michigan, Andrea Pellegrini, Valeria Bertacco e Todd Austin, hanno redatto un documento che spiega come l'autenticazione RSA possa essere "condizionata" da variazioni di tensione indotte nell'hardware del PC degli utenti.
"Fault-based attack of RSA authentication" sarà svelato domani durante la conferenza DATE (Design, Automation and TEst) di Dresda. La questione di fondo, in ogni caso, è che si tratta di una pericolosissima debolezza poiché l'autenticazione RSA è diffusa tra i media player, smartphone, server e-commerce, etc.

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"L'algoritmo RSA fornisce sicurezza basandosi sul fatto che la chiave personale è privata; non puoi violarlo a meno che tu conosca i codici. Abbiamo scoperto che non è vero", sostiene Bertacco, Docente associato alla cattedra di Ingegneria Elettronica e Scienze Informatiche.
In pratica se da una parte violare il codice binario composto da 1000 numeri richiederebbe un numero incredibile di ore, pare che con questo sistema bastino circa 100 ore per "frantumare" una chiave da 1024 bit. I test su un sistema SPARC basato su Linux hanno dimostrato in più casi che la tecnica funziona.
Ovviamente i tre ricercatori hanno già individuato una soluzione.

Fabrizio Ruffini

Legittimo impedimento, il governo chiede il voto di fiducia

Battaglia in Senato durante l'esame del disegno di legge sul legittimo impedimento che prevede 18 mesi di «scudo» giudiziario per il premier e i ministri. Il testo è arrivato a Palazzo Madama dopo il primo via libera della Camera. Puntuale, con l'inizio della seduta (sospesa dopo pochi minuti e poi ripresa), l'ostruzionismo dell'opposizione. Il governo nel tardo pomeriggio ha poi deciso di chiedere la fiducia sul provvedimento, scatenando le proteste delle opposizioni. Il presidente dell'assemblea, Renato Schifani, ha sospeso la seduta e riunito i capigruppo (segui la diretta).


«Il paese sta marcendo e noi siamo qui a discutere di legittimo impedimento e cioè sempre dei problemi del presidente del Consiglio» attacca Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd, annunciando un'opposizione che «non farà sconti al governo e alla maggioranza». Il Pd, aveva annunciato la senatrice, intende denunciare che vengono «violati i diritti dell'opposizione perché i tempi stabiliti e contingentati per la discussione del provvedimento sono ridicoli vista la delicatezza della materia trattata». Con questo ddl, aggiunge, «si viola il principio di uguaglianza. Si certifica che chi è più forte, potente e ha più mezzi prevale su chi è meno potente».

Per Antonio Di Pietro «il legittimo impedimento è una legge incostituzionale sulla quale alla fine o il capo dello Stato, la Corte Costituzionale o l'Italia dei Valori con i suoi referendum farà giustizia». Riguardo all'ostruzionismo che le opposizioni stanno facendo in Parlamento, Di Pietro sottolinea che «l'Idv l'ostruzionismo l'ha fatto dal primo giorno e mentre informavamo i cittadini del pericolo in corso ci davano dei catastrofisti; oggi è dimostrato che c'è un governo che addirittura minaccia il capo dello Stato, ci auguriamo dunque che prevalga la resistenza a questo fascismo di ritorno».

Corriere della Sera - Redazione Online