sabato 27 aprile 2013

Moby Prince, 22 anni di nebbia italiana





22 anni dopo la strage nel porto di Livorno nessuna sentenza ha individuato un colpevole,  ma il dibattito sui troppi punti oscuri della vicenda resta aperto. Oggi un nuovo filone d’inchiesta voluto dai figli del comandante del Moby Prince e un film cercano di riaccendere il dibattito sulla più grave sciagura marittima italiana dalla fine della seconda guerra mondiale.

Esistono due tipi di cronaca nera: quella nera come la morte e quella nera come l’oscurità. Ci sono poi quelle tragedie che riescono persino a legare questi due tipi di buio. Quella del Moby Prince è una delle tante storie italiane che a leggerle sembra di scorrere il copione di un film spionaggio, uno di quei film in cui chi sa tace e chi non sa, per quanti sforzi faccia, non riesce mai a scoprire la verità.

Le sentenze dei vari processi sul disastro del traghetto della Moby tenutisi dal ’95 ad oggi non hanno mai individuato alcun errore umano nell’accaduto ed ogni speranza di fare luce sugli episodi di nebbia ad navem, di testimoni scomparsi e di tracce radar secretate sembrerebbe doversi spegnere per sempre. D’obbligo il condizionale perché una nuova commissione d’inchiesta fatta avviare dai famigliari delle vittime, con i figli del comandante Ugo Chessa i testa, potrebbe portare ad una nuova verità dopo tante bugie e depistaggi.

Il Moby Prince era un traghetto che la notte del 10 aprile del 1991 lasciò il porto di Livorno in direzione di quello di Olbia ma che, quando ancora non era uscito dalle acque del porto toscano speronò una petroliera, l’Agip Abruzzo, conficcandosi nella cisterna numero sette di quest’ultima e trasformandosi, così, in un inferno di fiamme e lamiere roventi che portò ad una morte orribile 140 delle 141 persone a bordo.

Gli interrogativi su cosa accade realmente quella notte nelle acque scure del porto di Livorno sono ancora troppi: si deve ancora capire, ad esempio, perché nella quasi totalità delle testimonianze raccolte si parli di cielo limpido e visibilità ottimale, mentre nelle carte del processo si insista a citare una fantomatica nebbia che sembra avvolgesse solo la petroliera e non le altre imbarcazioni. Bisogna poi spiegare l’incomprensibile ritardo dei soccorsi che, nonostante la breve distanza tra il porto ed il punto in cui le due navi entrarono in collisione, non raggiunsero il luogo dell’incidente se non dopo alcune ore, tanto da non individuare nemmeno il Moby Prince che nel frattempo, a motori ancora funzionanti e timone bloccato, aveva preso il largo disegnando un infernale girandola di fuoco.

Affiancato al porto di Livorno, inoltre, si trova Camp Darby, una base americana che in quei giorni era impegnata nelle operazioni di stoccaggio delle armi che tornavano dall’Iraq dove si era conclusa la prima guerra del Golfo. Gli armamenti arrivavano in porto attraverso delle navi civili militarizzate, quindi, sotto diretto controllo dell’esercito statunitense. Le tracce dei radar della base e le immagini satellitari, però, non esistono, o meglio non possono essere utilizzate perché secretate.
Nel 2009 i figli del comandante Chessa hanno fatto richiesta ufficiale al presidente Obama perché rendesse pubblici questi dati che sicuramente potrebbero aiutare a comprendere meglio ciò che accadde in porto quella notte, ma ad oggi non è pervenuta alcuna risposta.

Ad aggiungere mistero al mistero arriva, poi, il caso di Fabio Piselli, un esperto in investigazioni, che durante un’indagine all’ambasciata americana di Roma scoprì per caso alcuni fatti interessanti utili al processo Moby Prince. L’uomo venne aggredito da quattro persone incappucciate e chiuso in una macchina alla quale dettero fuoco. Piselli riuscì miracolosamente a salvarsi e sarà a disposizione dei legali delle vittime per proseguire la nuova inchiesta.

Il momento storico-politico in cui si inscrive la tragedia del Moby Prince è particolarmente complesso ed è forse anche per questo che la verità resta lontana: il muro di Berlino era caduto da pochi anni e i Balcani erano oramai sull’orlo della guerra fratricida. l’Italia, dal canto suo, era scossa dalle stragi di mafia, guerra in Somalia e segreti di stato. La strage di Ustica era ancora un grande punto di domanda e lo sarebbe presto diventato anche l’omicidio della giornalista Ilaria Alpi, morta inseguendo un traffico d’armi che, proprio dal porto di Livorno, arrivava a Mogadiscio.

Oggi, nell’anno del ventiduesimo anniversario della strage, un film-documentario del giovane regista fiorentino Manfredi Lucibello ripercorre i fatti cercando di riaccendere il dibattito sulla più grave sciagura marittima italiana dalla fine del secondo conflitto mondiale. Il titolo del film è “Centoquaranta – La strage dimenticata” ed uscirà a giugno. La realizzazione della pellicola ha fatto emergere, tra gli altri, l’ennesimo mistero sulla vicenda del Moby Prince; Lucibello ha infatti denunciato al Corriere della Sera che «Il tribunale di Livorno non ha più le registrazioni audio del processo sulla Moby Prince, quelle che valgono a livello legale. Esistono le trascrizioni delle testimonianze ma non le registrazioni audio. Abbiamo fatto due richieste tramite avvocato per ottenerle, non ci hanno mai ufficialmente risposto ma ci hanno fatto capire che non ci sono. Scomparse».

Infine, proprio nel giorno dell’anniversario della tragedia, il neo eletto presidente del Senato Pietro Grasso ha dichiarato: «Il ricordo di quella tragedia è ancora vivo e indelebile in tutti noi […] come cittadino e come presidente del senato, rinnovo la mia vicinanza e il mio affetto alle famiglie colpite, esprimendo il mio più profondo cordoglio per quanti persero la vita in quell’incidente. Le istituzioni e la società civile hanno il dovere di rimanere al fianco di chi è stato colpito da questo tragico evento facendo chiarezza su quanto avvenuto». Grasso ha inoltre annunciato l’apertura di una commissione d’inchiesta sulle stragi misteriose e ancora irrisolte che hanno martoriato il nostro paese.

Fabrizio Ruffini

venerdì 26 aprile 2013

Eccidio di Pozza ed Umito




In occasione del 28° anniversario della liberazione (in ritardo a dire il vero) vi proponiamo il racconto di uno dei tanti eccidi nazi-fascisti avvenuti in Italia e dimenticati dalla storia nazionale. Parlare di questi tragici avvenimenti, ricordare e tramandare le storie è l'unico modo per non rendere vane le tante morti del passato avvenute per il nostro futuro. W la resistenza!
Nella seconda guerra mondiale sui Monti della Laga Partigiani Italiani e Slavi danno vita ad una Resistenza contro l'invasore Tedesco che culmina con l'eccidio di Pozza ed Umito nell'inverno del 1944.
Dopo l’8 settembre 1943, furono aperti i campi di concentramento, soldati slavi e montenegrini, si rifugiavano sulle montagne di Umito e di Pozza. Proprio in quelle località si stavano già raggruppando i partigiani. 
Il capo della banda dei partigiani rifugiati a Pozza e Umito era il capitano dei Carabinieri Ettore Bianco. Agli slavi e montenegrini si erano aggiunti due inglesi e un americano. Questi furono aiutati dalle donne: erano  per lo più madri fidanzate sorelle di soldati italiani sperduti per il mondo.L’invernata del 43-44 fu terribile e il 16 marzo 1944 lassù a Pozza, i partigiani avevano organizzato regolari turni di guardia, con gli uomini all’erta nei punti strategici. C’era tanta neve in giro si pensava perciò che con quel tempo non si potesse arrischiare nessuno a salire sulla montagna. Invece, fu organizzata la spedizione composta in gran parte da tedeschi. 
A mezzanotte, da Acquasanta, partirono tedeschi e fascisti divisi in tre colonne per accerchiare Pozza ed Umito. Piombarono sulla località nel silenzio quando  la gente dormiva. Morirono dodici partigiani italiani, diciassette slavi, due inglesi, un americano, venti tedeschi. I tedeschi sistemarono i loro morti in un deposito e lo fecero saltare. Si portarono via solo il corpo del comandate, legato a un trono di albero, insieme ai prigionieri. Quando i tedeschi furono costretti alla ritirata per l’avanzata degli alleati, in Acquasanta avvennero episodi di violenza conseguenti a tutto quello che era successo.

Fonte: Associazione "La terra delle meraviglie"