lunedì 15 luglio 2013

Il sudtirolese che abbatteva i confini




Meno di un mese fa un giovanissimo politico altoatesino guadagnava le prime pagine dei giornali nazionali italiani per alcuni pesanti e infelici giudizi espressi nei confronti dei tedeschi. Lo scandalo per questo diciannovenne commissario del Popolo della Libertà durò giusto il tempo delle successive, ma ben contestualizzate, pubbliche scuse e la questione morì come era nata. Con molta delusione notai che in tutta questa vicenda non era stato fatto neanche un accenno ad Alexander Langer, un politico suditirolese che aveva pagato in prima persona il proprio tentativo di conciliare un dialogo tra italiani e tedeschi nel Trentino Alto Adige.

Il rifiuto dell'etnia. Quello di Alexander Langer è un nome che non salta fuori spesso nella contemporaneità, essendo sparito dalle cronache nel 1995, anno della sua morte. Nato a Vipiteno in provincia di Bolzano, egli riuscì a trasportare con successo in politica, nella quale fu attivo dalla fine degli anni '70, le proprie idee di convivenza tra gruppi differenti, idee che partivano proprio dalla peculiare situazione altoatesina in cui era cresciuto. Alexander considerava infatti il far parte di una comunità mista essere una risorsa e non una debolezza; e gran parte dei suoi sforzi fu diretta a cercare una via di convivenza pacifica nella diversità: cresciuto in una famiglia di lingua tedesca, ma educato fin dall'asilo negli ambienti italiani, era del resto era una testimonianza vivente che questo era possibile. Nel clima tesissimo delle rivalità tra gruppi tedeschi e italiani del Trentino Alto Adige della fine del secolo scorso, dove le bombe degli estremisti erano cominciate ad esplodere dalla metà degli anni '50, la posizione conciliatrice di Langer rappresentava una novità coraggiosa. Quando, in occasione dei due censimenti della popolazione del 1981 e del 1991, la Repubblica Italiana chiese ai propri cittadini risiedenti in quella regione di esprimere la propria appartenenza etnico-linguistica (ladina, tedesca o italiana), Langer si rifiutò di firmare un modulo volto a rafforzare le divisioni e le separazioni, pagando caro questo gesto. La sua carriera di insegnante fu temporaneamente interrotta e, nel 1995, la sua candidatura a sindaco di Bolzano venne respinta a causa di quella firma mancante. Pacifista convinto, si adoperò con parecchie energie ed iniziative per una fine pulita del conflitto Yugoslavo, del quale poteva comprendere meglio di altri le ragioni e le menzogne, ma il moltiplicarsi di molte sconfitte e di altrettante delusioni lo spinsero al suicidio all'età di 49 anni.

Una natura improntata al dialogo. La specialità di Alexander Langer era di rifiutare i confini, di violarli, di saltarli, di qualsiasi natura essi fossero. Avendo rigettato prima qualsiasi tipo di schedatura etnica, riuscì a costruire un ponte personale anche tra credenti e non credenti, avvicinandosi al Cattolicesimo (mentre il padre era ebreo) ma rimodellandolo, come ad esempio nell'esprimere il proprio appoggio al movimento abortista. Fortemente attivo sia dentro che fuori dalle istituzioni, critico fin da giovane all'adesione cieca ad un particolare partito politico, come invece succedeva nell'Italia di allora, Alexander rifiutava qualsiasi forma associativa che non fosse “mista” al proprio interno. Conscio che i confini, di qualsiasi natura essi fossero (religiosi, politici, etnici, linguistici, ecc.. ), non costituiscono affatto validi strumenti di orientamento perché falsano la realtà e la sua complessità, relegandola in forme semplici e prefissate, sostenne sempre la ricchezza data dall'inclusione di più culture diverse alla politica. I suoi interlocutori preferiti erano quelli che lui definiva i “disertori” o i “traditori” di una determinata etnia o parte, le persone cioè incapaci di innalzare barriere tra un “noi” e un “loro”.

Il messaggio di “Alex” oggi. In un'Europa come quella di oggi profondamente scossa dalla crisi, il messaggio di Alexander Langer è più che mai attuale. Sotto i colpi dei tagli alla spesa pubblica e della disoccupazione, troppe persone hanno trovato rifugio nella chiusura totale a tutto ciò che può diventare un pericoloso concorrente nella corsa alle scarse risorse disponibili. Sotto diverse forme sta riprendendo forza e vigore quel germe che Alex definiva come “la forma istituzionalizzata e collettiva di egoismo”, ovvero il nazionalismo. Esistono poi ancora forti tensioni ovunque tra gruppi differenti che coabitano gli stessi spazi: a Cipro tra greci e turchi, nel Belgio tra fiamminghi e valloni, negli Stati dei Balcani (tra i quali la Croazia ha appena fatto il suo ingresso nell'U.E) le questioni si sono (non) risolte con una separazione forzata della Yugoslavia, e infine in tutti quei Paesi dove una forte immigrazione ha rimodellato spesso la visione dell'identità collettiva in senso fortemente esclusivista. 

Non penso si possa trovare collante migliore per questa Europa che cade a pezzi del messaggio di Alex, un messaggio del resto molto semplice, ma non per questo banale. E la forza di questa mite visione stava proprio, allora, nella biografia stessa di Alex, la cui vita era stata spesa a saltare ogni barriera imposta. Fa dunque profonda tristezza vedere che alcune nuove generazioni crescono sorde a questa eco proprio in quella terra mista dove Langer era cresciuto e che aveva costituito il punto di partenza di tutta la sua riflessione.

Gabriele Proverbio

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