domenica 11 settembre 2011

Giro della Padania, l'ennesima buffonata ITALIANA



Se l' avessero chiamato Giro della Polenta Taragna, oppure Gran Premio Trota, forse questa cosa strana che invece si chiama Giro di Padania sarebbe scivolata via tra le mille stranezze (anche sportive) d' Italia. Ma così, ragazzi, così no. Perché la polenta taragna esiste, il trota Renzo Bossi pure esiste, invece la Padania no. Non ce l' hanno insegnata a scuola, non figura (né mai figurerà) in nessun atlante, compare solo nel delirio di chi raccoglie l' acqua del Po nelle ampolle e segue i riti druidici, insomma le pagliacciate della Lega.

Da oggi, però, l' astrazione fa il suo solenne ingresso nel calendario ciclistico internazionale: cinque tappe, la prima da Paesana (provincia di Cuneo, dove appunto Bossi riempie le ampolle) fino a Laigueglia. Sei regioni, queste sì presenti nei programmi di geografia dello Stato, la cui capitale si chiama Roma: Piemonte, nobile terra che prima del Giro di Padania già diede all' Italia il senatore Borghezio; Liguria, Lombardia, Emilia Romagna, Trentino e Veneto.

Venticinque squadre al via, che sono proprio tante, e molti campioni tra cui Basso (numero 1 sulla schiena), Garzelli, Petacchi, Cunego e il campione italiano Visconti, siciliano che vive in Toscana: «Questa è una corsa nazionale e io mi onoro di parteciparvi».

L' idea venne al senatùr Bossi dopo la Tre Valli Varesine dell' anno scorso, e l' ha realizzata Michelino Davico, "il Sen. Sottosegretario" come viene descritto nel comunicato ufficiale, maiuscole comprese, già presidente della Monviso Venezia: sembra la "Coppa Cobram" di Fantozzi. Il Sen. Sott. Grand' Uff. si oppone fieramente all' idea che il Giro di Padania altro non sia che propaganda di regime («Solo sport, solo ciclismo!»), e nel suddetto comunicato plaude al «tracciato ideale-territoriale». Incuranti del valore unitario della bicicletta, capace di ridare forza e orgoglio a un' Italia squassata dalla guerra, quando Coppi e Bartali pedalavano tra le macerie e le uniche trote stavano nei torrenti di montagna, i leghisti non temono le contestazioni annunciate. La prima ieri, durante la punzonaturaa Cherasco, ameno borgo cuneese noto soprattutto per le lumache: Rifondazione Comunista ha piantato le tende, distribuito volantini e scritto bello grosso su uno striscione: «Ti han preso in Giro, qui siamo in Italia».

Oggi a Mondovì, chilometro 71 della prima tappa, sono previste altre proteste come a Rovereto, sede di partenza dell' ultima. Il sindaco di Piacenza, Roberto Reggi, ha negato il permesso al passaggio della corsa, un po' perché gli hanno tagliato i fondi per pagare i vigili urbani (oggi precettati a Laigueglia, nel giorno dello sciopero generale: ne sono felicissimi),e il resto lo spiega senza giri di Padania né di parole: «Questa corsa è una buffonata». E dire che il sindaco piacentino non aveva neppure letto la pagina sul sito ufficiale del Giro, quella che parla dei premi. Al vincitore, oltre all' ovvia maglia verde, andrà un Golem. "Raffigura l' uomo-ciclista inserito in un territorio che è quello della Padania. Il sole, forza pura, incombe su di lui, mentre sullo sfondo si innalza il Cervino. Tutt' intorno il grano e l' abbraccio dei Golem, simbolo della comunità che accoglie quest' uomo eccezionale". Vertici lirici mai raggiunti da nessuno, neppure quando c' era lui caro lei. Il secondo arrivato avrà uno scudo e una vanga, il terzo una piramide a forma di M, "diretta derivazione con l' alfabeto runico, e rappresenta lo spirito puro del cavaliere che corrisponde con quello dello sportivo in sella al suo cavallo meccanico". Forse non bisognerebbe fare l' antidoping solo a quei bombardoni dei ciclisti, ma pure a chi organizza le loro corse. Anche se la Lega è proprio forte, ha raccolto denari e sponsor solo nordisti, acqua minerale e formaggio, biscotti e grissini, ha appeso i drappi verdi sul municipio di Cherasco accanto alla lapide dei morti partigiani: la piazza si chiama Caduti per la Libertà. Adesso il rischio è ricevere uova, chiodi e risate da qui a Montecchio Maggiore, arrivo dell' ultima tappa della Coppa Cobram.

Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione, ha scritto a Napolitano, al Coni e alla Federazione ciclistica per «bloccare questa operazione di regime»: non gli hanno neppure risposto, anzi il presidente federale Di Rocco ha detto: «Plaudo alla nascita di ogni nuova corsa, e questa non ci costa un centesimo». Mica vero, perché i soldi del Coni sono soldi di tutti, non è denaro celtico. E non mancherà la Rai, che nel ciclismo ha quote leghiste non proprio trascurabili. «Una corsa è una corsa, e basta», taglia corto Ivan Basso, mentre il ct azzurro Bettini nota che «a settembre c' era un vuoto nel calendario, e questo Giro può essere utile in prospettiva mondiale, visto che mancano solo venti giorni alla corsa iridata di Copenaghen». In tanti, insomma, tirano questa buffa volata leghista, anche la vecchia gloria Gianni Motta: «Sarà una gran bella gara!». E mentre dagli altoparlanti dei contestatori risuona una gracchiante e tenera "Bella ciao", sul palco si scatenano le Fisarmoniche del Monviso, in un derby (non solo politico) all' ultimo decibel. I paesani osservano curiosi e commentano in dialetto, molti in canottiera, proprio come il senatùr. Se non fossimo effettivamente un paese pieno di trote, si morirebbe dal ridere.


Maurizio Crosetti Cherasco

(Repubblica)

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