martedì 23 marzo 2010

La campagna elettorale ha ancora diritto d’esistere?



Mi rendo conto che l’argomento non è dei più facili da affrontare e sicuramente andrà incontro a molte critiche, ma penso che dovremmo interrogarci sulla reale opportunità d’esistenza di quell’immane dispendio di denaro ed energia (sia attive che passive) che alla vigilia di ogni elezione vediamo prendere vita sui manifesti, nei comizi o sui volantini che da ogni parte ci piovono addosso.

Il punto non è solamente lo sperpero di denaro o il bombardamento comunicativo che noi tutti siamo costretti a sopportare, ma un vizio di forma intrinseco dell’intero meccanismo.

Se c’è bisogno di una così imponente macchina elettorale si sa bene che, paradossalmente, a decidere le elezioni saranno i cosiddetti “indecisi” piuttosto che i “decisi”.

Questo, come è facile immaginare, penalizza soprattutto chi cerca di tenersi informato sul mondo politico e si crea una propria opinione che poi andrà ad esprimere attraverso il voto, di qualsiasi colore politico esso sia.

L’importante è avere elettori consci del ruolo fondamentale che nei, di solito, due giorni elettorali vanno a ricoprire all’interno del proprio stato e della propria società.

Se non abbiamo questo, non abbiamo nemmeno un popolo sano, non abbiamo una classe dirigente eletta per sincero volere dei cittadini e la democrazia si riduce a un termine buono soltanto per nascondere guerre o gonfiarsi la bocca nel paragonarsi ad altre nazioni.

Il voto è diventato una via di mezzo fra un lusso di cui non ci ricordiamo – e quindi non onoriamo - nemmeno l’origine e una scusa per fare due passi verso le urne la domenica.

Possibile che i cittadini di un paese che si considera moderno e civilizzato vogliano essere trattati come un gregge da dirigere periodicamente verso uno o l’altro macello?

Ricordo che mi fece molta impressione una cosa che vidi in Francia: era il periodo delle elezioni Europee del 2009 e man mano che passavamo in macchina i vari paesini, come i centri più grossi, c’erano in media 5/6 manifesti elettorali: sempre quelli, nello stesso ordine. Non c’erano squinzie col berrettino con volantini coloratissimi, non c’erano manifesti versione Godzilla su muri, camper, dirigibili ecc.. non c’era nulla; solo un manifesto per partito con il nome del candidato, il simbolo di partito e uno slogan. Come dire: «Questi sono quelli che si presentano, scegli TU».

Vabbè, non dimentichiamoci che i Francesi sono quelli che hanno votato Chirac quando arrivò al ballottaggio con Le Pen nel 2002, e lo contestarono subito dopo per fargli capire che lo avevano votato solo perché non volevano assolutamente un presidente nostalgico dei trascorsi fascisti nella collaborazionista Francia di Vichy. Insomma gente che si interessa della persone che devono poi governarla e che quindi si informa prima di andare a votare.

Per tornare al Bel Paese, dire che gli elettori sanno ciò che stanno facendo mettendo la “X” su una scheda di cartone chiusi dentro un baracchino, penso sia un po’ troppo romantico. Quindi che fare?

Nacque proprio da quel viaggio in Francia l’idea, un po’ provocatoria un po’ no, di istituire un “patentino del votante”.

Per averlo sarebbe sufficiente sostenere un piccolo esame di storia (almeno dell’ultimo secolo) ed educazione civica (cosa che fa abbastanza ridere oggi come proposta dato che la materia in questione viene tolta da quasi tutti gli istituti).

Penso che una cosa simile già scremerebbe un’ottima fetta di “votanti della domenica” che da sempre scelgono per tutti senza rendersene conto.

Perché continuare a farci portare tutti da una mandria di gonzi quando c’è gente che davvero si interessa alla politica e vorrebbe che ciò che pensa fosse rappresentato nel proprio governo per una volta?

Facendo una pesa di vantaggi e svantaggi penso che la risposta sia più che ovvia, ma forse un sistema in cui il cittadino vota ciò che pensa e sa difendere la sua idea di voto si veramente riservato ai paesi moderni e civilizzati.

Fabrizio Ruffini

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